Nella prima parte di questo scritto, abbiamo focalizzato l'attenzione sulla necessità di concentrarci di più sui messaggi che il nostro 'Corpo Reattivo' tende a manifestare; allo stesso tempo abbiamo cercato di far luce sull'aspetto cocente del rispetto, verso cui la nostra superficie individualizzata riversa le proprie risonanze. Maturata una simile convinzione, abbiamo il dovere di riconoscere geograficamente cosa e dove queste suggestioni hanno più presa. Il convincimento generale (e purtroppo anche quello marginale) che lo stato reattivo sia frutto di un'ipnosi collettiva, di un'evidenza antropologica, non ci è di grande aiuto; una riprova di questo la abbiamo analizzando la nostra forma mentale e la sua considerevole attitudine a creare strutture immaginative di non poco conto. Ad ogni modo non solo l'apparato cognitivo è in grado di supporre una certa creatività, pure le zone intermedie ed estreme del nostro corpo sono in grado di interagire coi precetti suggestivi che esso trasmette!
Ogni reparto – situato, del nostro strumento fisico, valuta (per così dire) l'intenzione evolutiva di espandersi attraverso la materia e, in qualche modo, fondersi con la sua insondata coscienza involuta. L'inerzia stessa, simbolo ancorpiù perentorio di una struttura materica conclamata, trasmette così alle forme più involute di una coscienza cellulare, le suggestioni come oggi le riconosce (in modo molto abbozzato) la psicologia classica... ovvero come 'disordini subconsci'.! Per fare un po' più di chiarezza nell'ambito settoriale delle parti dell'essere, trovo di grande stimolo esporre l'argomento tramite una figura storica che ha dedicato tutta la sua esistenza su questo mai così attuale quesito: Chi siamo in Verità?
Fabbri Marco
[…] In un certo senso noi non siamo altro che una massa
intricata di abitudini mentali, nervose e fisiche tenute insieme da
poche idee-guida, da certi desideri e associazioni: un amalgama
di tante piccole forze ripetitive e di poche vibrazioni
fondamentali. [...]
intricata di abitudini mentali, nervose e fisiche tenute insieme da
poche idee-guida, da certi desideri e associazioni: un amalgama
di tante piccole forze ripetitive e di poche vibrazioni
fondamentali. [...]
IL CICLO UMANO
Frammenti scelti tratti dal libro di Sri Aurobindo (Il ciclo umano- 1914).
Lucida trasposizione teosofica-filosofica tra il rapporto umano e le conseguenze sociali che
accompagnano e hanno accompagnato la “nostra” spesso inconsapevole crescita spirituale
nell’ultimo secolo.
Distinzione valida e attenta sulle varie parti dell’essere umano. Indispensabile compendio didattico
e versatile contributo nell’azione mentale dell’apprendimento di ciascuno.
1. Sri Aurobindo distingue quattro parti nell’essere: La mente, il vitale, il fisico e lo psichico. La mente è la parte pensante: l’uomo è essenzialmente un essere pensante. Con il termine “vitale” Sri Aurobindo indica quella parte dell’essere che è sede degli impulsi, desideri, appetiti, passioni e istinti, mentre il fisico indica le attività e reazioni proprie del corpo. Per quanto riguarda il termine “psichico”, Aurobindo gli dà un significato molto preciso: esso designa l’anima, l’elemento permanente che racchiude la scintilla divina (e che secondo la tradizione indiana, si reincarna).
Ciascuna di queste parti dell’essere, sottolinea Aurobindo, hanno una loro coscienza propria, un’individualità complessa e una formazione naturale indipendente dal resto. La mente, il vitale e il fisico sono semplici strumenti al servizio del nostro psichico e devono normalmente portare alla sua scoperta.
2. Avendo distinto quattro livelli nell’essere: la mente, il vitale, il fisico e lo psichico, Aurobindo precisa che i livelli vitale e fisico hanno anch’essi una coscienza propria e una mente di cui si servono per organizzare, giustificare o affermare le loro attività: impulsi, desideri, necessità, emozioni o passioni.
3. Aurobindo distingue la conoscenza psichica dalla conoscenza mentale. La conoscenza psichica è una conoscenza diretta, immediata e totale: conosciamo una cosa o una persona perché siamo questa cosa o questa persona. E’ una conoscenza per identità e poggia sull’unità profonda dell’esistenza. La mente, invece, comincia col proiettare il mondo e le cose fuori da se stessa, per dover in seguito imparare indirettamente e frammentariamente ciò che ha esiliato dal proprio essere. E’ una conoscenza per differenze e poggia sulla divisione dell’esistenza. La conoscenza psichica o conoscenza dell’anima porta quindi ad una conoscenza vera, una conoscenza d’insieme che oltrepassa i limiti di spazio e tempo e lo stampo stretto del corpo in cui l’uomo è rinchiuso. Scoprire l’essere psichico significa conoscere la vera legge del nostro essere e della nostra azione, la verità profonda della nostra esistenza e del mondo.
4. Ricordiamo che Aurobindo chiama “essere vitale” quella parte dell’uomo sede dei desideri, degli impulsi, delle passioni, dei sentimenti o degli appetiti. La parte vitale dell’uomo ha una sua coscienza propria, indipendente dalla sua coscienza mentale. Anche l’essere fisico ha una sua coscienza, indipendente dal vitale e dalla mente.
5. Aurobindo distingue vari livelli della mente: i livelli superiori o sovracoscienti, che chiama rispettivamente (in ordine discendente): sovramente, mente intuitiva, mente illuminata, mente superiore, mente comune o mente pensante e i livelli inferiori che costituiscono la base evolutiva della mente: La mente vitale, la mente fisica e la mente cellulare. La mente fisica è una specie di prima “mentalizzazione” della Materia: è una mente meccanica, ripetitiva, microscopica, che registra tutto e ripete ostinatamente le sue minuscole esperienze, i suoi timori, le sue paure, le sue “saggezze”. Tramite essa la mente si è dapprima fissata nella Materia, ma le sue tendenze “fissative” sono un ostacolo considerevole allo sviluppo della coscienza e sono causa di molte malattie ricorrenti.
6. La mente ordinaria nell’uomo non è proprio la mente pensante in senso stretto, è una mente vita, è, potremmo dire, una mente vitale, che ha imparato a pensare e persino a ragionare, ma per propri fini e su proprie linee, non su quelle di una vera mente di conoscenza.
7. Per Aurobindo, le divisioni della coscienza seguono l’ascesa evolutiva, e ciò sembra logico poiché è proprio nella Materia e a partire da essa che si sono sviluppati livelli di coscienza sempre più elevati. L’inconscio rappresenta quindi la nostra base materiale e corporea (ma questa “coscienza” nasconde una coscienza segreta che diventa progressivamente cosciente di se stessa nel corso dell’evoluzione). Il subconscio rappresenta i livelli inferiori dell’evoluzione, subcoscienti o imperfettamente coscienti: è il nostro passato evolutivo. Il sovracosciente rappresenta i livelli di coscienza che non sono ancora entrati nella nostra coscienza normale tranne in rare eccezioni o in momenti particolari: è il nostro avvenire evolutivo.
8. L’uomo, non possedendosi, ma solo cercando di trovarsi, non sapendo consciamente, ma obbedendo solo subconsciamente o semiconsciamente alle intimazioni della legge della propria natura, con inciampi, esitazioni e deviazioni e con una serie di violenze fatte a sé e agli altri, ha
dovuto farsi strada tra un intrico di verità e di errore, di giusto e di sbagliato, di costrizioni e rivolte e maldestri adattamenti; egli non ha ancora né la vastità di conoscenze, né la flessibilità di mente né la purezza di carattere che gli permetterebbero di seguire la legge della libertà e dell’armonia anziché quella della discordia e dell’irregimentazione, della costrizione, dell’accomodamento e della contesa. Eppure quello è proprio il compito di un’era soggettiva in cui la conoscenza aumenta e si diffonde con rapidità senza precedenti, in cui la capacità si generalizza, gli uomini e le nazioni si avvicinano, ed in parte si uniscono (sia pure in un inestricabile e confuso groviglio di caotica unità) e vengono costretti a conoscersi fra loro e conoscere più a fondo se stessi, l’umanità, Dio e il mondo, in cui l’idea di autorealizzazione per gli uomini e le nazioni viene consapevolmente in superficie; è il compito naturale, e dovrebbe essere la consapevole speranza dell’uomo di tale era, di conoscersi veramente, di trovare la legge ideale del suo essere e del suo sviluppo e, se neppure allora può seguirla idealmente a causa delle difficoltà della sua natura egoistica, nondimeno deve mantenerla davanti a sé e trovare a poco a poco il modo in cui possa diventare sempre più il principio formatore della sua esistenza individuale e sociale.
9. La conoscenza dev’essere aggressiva, se vuole sopravvivere e perpetuarsi: lasciare sotto o intorno ad essa una vasta ignoranza significa esporre l’umanità al perenne rischio di una ricaduta nelle barbarie.
10. Gli atomi e gli elementi organizzano la Materia brutta, la pianta sviluppa l’essere vivente, l’animale prepara e porta ad un certo tipo di organizzazione meccanica il materiale grezzo della Mente; ma l’ultima opera – la conoscenza ed il controllo di tutte queste cose, nonché l’autoconoscenza e l’autocontrollo – è stata riservata all’uomo essere mentale della Natura. Perché egli possa compiere meglio il lavoro che essa gli ha dato, la Natura lo costringe a ripetere fisicamente, e fino ad un certo punto mentalmente, certi stadi della sua evoluzione animale; e anche quando egli è in possesso del proprio essere mentale, essa lo induce continuamente a soffermarsi con interesse e persino con un certo assorbimento, sulla Materia, la Vita, il proprio corpo, e la propria esistenza vitale. Ciò è necessario per la vastità dei progetti che la Natura ha su di lui. Il piano naturale assorbimento dell’uomo nel corpo e nella vita è ristretto e privo di intelligenza; man mano che aumentano la sua intelligenza e la sua forza mentale, egli comincia a liberarsi, a potere salire più in alto, pur rimanendo legato alle sue radici vitali e materiali del bisogno e del desiderio; deve quindi ritornare su queste ma con maggiore curiosità, con un più grande potere di utilizzazione, con uno scopo sempre più altamente mentale, e infine sempre più spirituale. I cicli umani sono infatti come tante spirali di una crescente ma ancora imperfetta armonia e sintesi, e la Natura riporta l’Uomo bruscamente indietro ai propri principi originali, talvolta persino a qualcosa di simile alle proprie condizioni primitive, in modo che egli possa ricominciare da capo su una più ampia curva di progresso e di autorealizzazione.
11. Infatti l’idealista, il pensatore, il filosofo, il poeta e l’artista e persino il moralista, tutti coloro che vivono principalmente nell’astrazione quando si trovano a tu per tu con i problemi della vita pratica sembrano essere piuttosto in imbarazzo, e vengono sistematicamente sconfitti ogni volta che tentano di governare la vita con le loro idee. Essi esercitano sì una forte influenza, ma in modo indiretto, più gettando le loro idee nella Vita (la quale le utilizza come vuole la Volontà segreta nascosta in essa), che non con un’azione diretta e sufficientemente ordinata. Non che l’empirico puro, ossia l’uomo pratico, riesca meglio con la sua azione diretta, perché anche quella viene presa dalla volontà segreta nella vita e rivolta a tutt’altri fini di quelli che l’uomo si era prefisso. Anzi gli ideali e gli idealisti sono necessari, gli ideali sono il sapore e la linfa della vita, e gli idealisti i più potenti divinatori e collaboratori dei suoi propositi. Ma riducete l’ideale a sistema, ed ecco che comincia a venir meno; applicate le regole generali e le idee fisse sistematicamente, come farebbe il dottrinario, e la vita quanto prima irrompe, o sfugge alla loro presa, o trasforma il sistema, anche mentre esiste nominalmente, in qualcosa che l’ideatore stesso non riconoscerebbe e forse ripudierebbe come la vera contraddizione dei principi che egli cercava di eternare.
12. L’uomo infatti non vive per la sola conoscenza; la vita nel suo significato più ampio è la sua principale preoccupazione, ed egli ricerca la conoscenza per la sua utilità alla vita molto più che per il puro piacere di acquisire conoscenza. Ma è proprio in questo porre la conoscenza al servizio della vita che l’intelletto umano cade in questa confusione e in quell’imperfezione che insegnano ogni azione umana. Fintanto che perseguiamo la conoscenza per se stessa, non c’è niente da dire: la ragione svolge la sua funzione naturale; essa esercita sicuramente il suo massimo diritto.
Nel lavoro del filosofo, dello scienziato, del sapiente, che si sforzano di aggiungere qualcosa al bagaglio delle nostre conoscenze verificabili, vi è una purezza ed una soddisfazione altrettanto perfette quanto in quello del poeta e dell’artista che creano forme di bellezza per il godimento estetico della razza. Qualunque errore e limite individuale possano esservi, non ha importanza, perché la conoscenza collettiva e progressiva della razza ha conquistato la verità che è stata scoperta e si può sperare che col tempo si libererà dall’errore. E’ quando tenta di applicare le idee alla vita che l’intelletto umano incespica e si trova in imbarazzo.
13. Non chiedete alla ragione di propendere per un’unica idea, ma di fare una combinazione eclettica o un’armonia sintetica, e vi soddisferà; ma, essendoci un numero illimitato di possibili combinazioni ed armonie, essa giustificherà sia l’una che l’altra e la sosterrà o la rovescerà a seconda che lo spirito nell’uomo ne sia attratto o ne rifugga. Perché in realtà è proprio lo spirito dell’uomo a decidere, e la ragione non è che un brillante servitore e ministro di questo sovrano velato e segreto.
14. Ciò che è impossibile o assurdo per la ragione lasciata a se stessa, diventa reale e giusto per la ragione innalzata al di là di se stessa dal potere dello spirito e irradiata dalla sua luce. Allora essa viene dominata dalla mente intuitiva, che è il nostro mezzo per passare ad un ancor più alto principio di conoscenza. La più ampia spiritualità non esclude né scoraggia qualsiasi attività o facoltà umana essenziale, ma piuttosto opera per sollevarle tutte dalla loro imperfezione e dalla loro brancolante ignoranza, le trasforma col suo tocco e le rende strumenti della sua luce, del potere e della gioia dell’essere divino e della natura divina.
15. L’etica comincia infatti soltanto con l’esigenza da parte dell’uomo di qualcosa di diverso dalle sue preferenze personali, dai suoi piaceri vitali e dai suoi interessi materiali; e questa esigenza sembra agire inizialmente su di lui attraverso la sua necessità di rapporti con gli altri, per i bisogni della sua esistenza sociale. Ma che quello non sia il nocciolo della questione è dimostrato dal fatto che l’esigenza etica non quadra sempre con l’esigenza sociale, né la forma etica coincide sempre con la norma sociale. Anzi l’uomo etico è spesso chiamato a respingere e combattere l’esigenza sociale, a rompere, ad abbandonare, a ribaltare la norma sociale. I suoi rapporti con gli altri e quelli con se stesso sono entrambi cause immediate della sua crescita etica; ma ciò che determina il suo essere etico sono i suoi rapporti con Dio, la pressione del Divino su di lui, sia esso nascosto nella sua natura o cosciente nel suo sé superiore o nel suo intimo genio. Egli obbedisce ad un’ideale interiore, non ad una norma esteriore; egli risponde ad una legge divina nel suo essere, non ad una pretesa sociale o ad una necessità collettiva. L’imperativo etico non viene dall’esterno, ma da dentro di lui e sopra di lui.
16. La vita non può arrivare ai suoi segreti traguardi finali seguendo la sue prime forze motrici infrarazionali dell’istinto e del desiderio, perché in quel campo tutto è un brancolare ed un cercare senza trovare, un mondo di brevi soddisfazioni, marchiato col sigillo dell’ insufficienza e della precarietà proprie dell’Inconscio. Ma neppure la ragione umana può dargli ciò che cerca dato che può solo produrre delle mezze luci ed un ordine provvisorio. Perciò la spinta verso l’alto della vita non può restare soddisfatta nell’uomo così com’è, il suo impulso evolutivo non può arrestarsi a questo termine transitorio, a questo mezzo conseguimento. Deve mirare ad una più alta capacità di coscienza, lasciar scaturire dalla vita e dalla mente qualcosa che è ancora latente ed appena abbozzato. I traguardi finali della vita sono spirituali e sono raggiungibili solo nella piena luce del sé e dello spirito liberati. Quella piena luce non è l’intelletto o la ragione, ma una conoscenza per unità ed identità interiori; è la luce innata ed autonoma della coscienza spirituale pienamente sviluppata e, lungo il percorso che porta a tale luce e la prepara, è una conoscenza per intimo contatto interiore con la verità delle cose e degli esseri, una conoscenza intuitiva e nata da una segreta unità. La vita cerca di conoscere se stessa; è solo alla luce dello spirito che può riuscirvi. Essa cerca una guida ed una padronanza illuminata dei propri movimenti; è solo quando trova in sé questo io interiore e questo spirito, e per mezzo suo o in obbedienza ad esso guida i propri passi, che può avere la volontà illuminata di cui ha bisogno e la sicurezza infallibile del comando. E’ solo così infatti che le cieche certezze degli istinti e le ipotesi e le teorie speculative nonché le certezze sperimentali e deduttive della ragione possono essere sostituite dalle certezze spirituali, dalla visione spirituale. La vita cerca l’esaudimento dei suoi istinti d’amore e di compassione, dei suoi aneliti all’accordo ed all’unione, ma questi subiscono le interferenze degli istinti opposti, ed è soltanto la coscienza spirituale, con la sua unità oramai realizzata, che può abolire queste opposizioni. La vita cerca il pieno sviluppo dell’essere, ma può raggiungerlo solo quando l’essere limitato abbia trovato in sé l’intima anima della sua esistenza, ed intorno ad essa il proprio sé di coscienza cosmica, capace di sentire il mondo ed ogni essere in sé e come sé. La vita cerca il potere, ma è soltanto il potere dello spirito e di questa cosciente unità che può darle la padronanza di sé e del suo mondo. Essa cerca il piacere, la fedeltà, la beatitudine, ma le forme infrarazionali di queste sono afflitte da imperfezione, frammentarietà, provvisorietà e sempre si scontrano con i loro opposti. Inoltre la vita infrarazionale reca ancora, nelle sua insensibilità di fondo, ottusità di tempra e debolezza di reazione vibratoria, qualche impronta dell’Inconscio; non può raggiungere la vera
felicità e la beatitudine, né sopportare a lungo i piaceri che riesce ad ottenere, né sa mantenere e reggere le forti intensità di questi stati. Solo lo spirito possiede il segreto di una felicità o di un’estasi incontaminate e permanenti; solo lo spirito è capace di reggere e rispondere alle loro vibrazioni, solo lo spirito può raggiungere e giustificare il piacere o la gioia spirituali dell’esistenza come una delle forme dell’infinita ed universale felicità d’essere. La vita cerca un’armoniosa attuazione di tutti i suoi poteri, ora divisi e in conflitto, di tutte le sue possibilità, le sue parti, i suoi membri; ma ciò è possibile soltanto nella coscienza dell’unico Sé, dello spirito, perché solo nello spirito essi raggiungono la loro piena verità e il loro perfetto accordo, nella luce dell’autoesistenza integrale. Esiste quindi un fine ultimo sovrarazionale della Vita, così come esistono una Verità, una Bontà ed una Bellezza sovrarazionali. Il tentativo di raggiungere tale fine è il significato spirituale di questa Natura-Vita, della sua ricerca e del suo anelito.
17. Ma anche all’interno delle comunità stesse la ragione e la spiritualità sono sempre intralciate e messe in pericolo in questo stadio, dal fatto di esistere in un ambiente e in un’atmosfera che non sono i loro. L’elite, le classi investite di questi poteri, sono obbligate a costringerle entro forme che siano accettate dalla massa dell’ignoranza umana che esse guidano e governano, così tanto la ragione quanto la spiritualità tendono ad essere soffocate da queste forme, a diventare stereotipate, a fossilizzarsi, a perdere vitalità, perché impedite nel loro naturale esprimersi. In secondo luogo, dato che dopo tutto fanno parte della massa, questi elementi superiori illuminati sono essi stessi influenzati dalle loro parti infrarazionali e non arrivano, se non nei singoli, al gioco interamente libero della ragione o alla libera luce dello spirito. In terzo luogo, c’è sempre il pericolo che questi elementi superiori gravitino verso il basso, cioè verso l’ignoranza […].
Questo nuovo ciclo deve tentare di universalizzare anzitutto l’abitudine della ragione e l’applicazione alla vita dell’intelligenza e della volontà intelligente. Così ha inizio l’era razionale della società umana, quel grande tentativo di portare il potere della ragione e dell’intelligenza a governare su tutto ciò che siamo e facciamo ed organizzare, alla loro luce e con la loro forza guida, l’intera esistenza della razza.
18. Infatti l’uomo comune non è ancora un essere razionale; emergendo da un lungo passato infrarazionale, egli non è naturalmente capace di formarsi un giudizio ragionevole, ma pensa o secondo i propri interessi, impulsi e pregiudizi, oppure secondo le idee di altri dotati di un’intelligenza più attiva o di un potere d’azione più rapido, e che sono in grado di esercitare in qualche modo un’influenza sulla sua mente. Inoltre, egli non usa ancora la ragione per giungere ad un accordo con i suoi simili, ma piuttosto per imporre le proprie opinioni attraverso il conflitto e la disputa con le opinioni degli altri. Essenzialmente può utilizzare la ragione per la ricerca della verità, ma di norma questa gli serve per giustificare i suoi impulsi, pregiudizi ed interessi, e sono proprio questi a determinare, o perlomeno a scolorire e sfigurare del tutto i suoi ideali, sempre chè abbia imparato ad averne. Infine, egli non usa la sua libertà per arrivare ad adeguare in modo razionale la sua vita a quella degli altri; la sua tendenza naturale è di far valere gli scopi della sua vita anche a spese, o come si dice eufemisticamente, in concorrenza con la vita degli altri. Viene così a formarsi un abisso fra l’ideale ed i primi risultati della sua messa in pratica. Nasce così una disparità fra fatto e idea che conduce inevitabilmente alla disillusione ed al fallimento.
19. La soluzione non si trova nella ragione, ma nell’anima dell’uomo, nelle sue tendenze spirituali. E’ unicamente una libertà spirituale, interiore, che può creare un ordine umano perfetto. E’ unicamente un’illuminazione spirituale, maggiore di quella razionale, che può dar luce alla natura vitale dell’uomo ed imporre armonia ai suoi egoismi, ai suoi antagonismi e alle sue discordie. Una più profonda fratellanza, una legge d’amore non ancora scoperta, sono i soli fondamenti possibili per una perfetta evoluzione sociale; nient’altro le può sostituire. Ma questa fratellanza e quest’amore non possono avanzare per mezzo degli istinti vitali e della ragione, in cui possono essere affrontati, frustrati e fuorviati da ragionamenti opposti e da altri istinti discordanti. Né potranno trovarsi nel cuore naturale dell’uomo dove risiedono molte altre passioni che vi si oppongono. E’ nell’anima che devono trovare le radici; è un amore fondato su una più profonda verità del nostro essere, una fratellanza o, diciamo – poiché questo è un sentimento diverso da ogni senso vitale o mentale di fratellanza, una forza motrice più calma e durevole – un cameratismo spirituale, che è l’espressione di una realizzazione interiore dell’unità.
20. La volontà centrale di vita dell’uomo è ancora situata nel suo essere vitale e fisico – illuminato, è vero, e controllato in certa misura nei suoi impulsi dai poteri superiori – ma solo parzialmente illuminato, non trasformato; controllato, non dominato ed innalzato su un piano superiore. La vita più elevata è ancora solo una cosa sovrapposta a quella più bassa, un perpetuo intruso nella nostra esistenza normale. L’intruso interferisce continuamente con la vita normale; rimprovera, incoraggia, scoraggia, ammaestra, manipola, regola, solleva solo per lasciar cadere, ma non ha il potere di trasformare, di alchemizzare, di ri-creare. Tutto il malessere, l’insoddisfazione, la delusione, il logoramento, la malinconia, il pessimismo della mente umana vengono dall’insuccesso pratico dell’uomo nel risolvere l’enigma e le difficoltà della sua duplice natura.
21. E’ importante notare questa verità, perché gli errori commessi sul sentiero sono spesso persino più istruttivi di quelli commessi allontanandosi dal sentiero. Come è possibile sovrapporre la vita intellettuale, etica ed estetica (o la somma dei loro moventi) alla natura vitale e fisica e accontentarsi di una dominazione parziale o di un compromesso, così è possibile sovrapporre la vita spirituale (o qualche apparenza di forza spirituale o qualche ascendente di idee e moventi spirituali) alla natura mentale, vitale e fisica e, o impoverire l’esistenza vitale e fisica e persino deprimere quella mentale per concedere all’esistenza spirituale un più facile predominio, oppure venire ad un compromesso e lasciare l’essere inferiore ai suoi pascoli a patto che renda frequente omaggio all’esistenza spirituale, accetti entro certi limiti la sua influenza e la riconosca come lo stato definitivo e la finalità dell’essere umano. Questo è il massimo che la società umana abbia mai fatto in passato, e benchè quella debba necessariamente essere una tappa del viaggio, rimanervi significa non afferrare il vero senso della questione, l’unica cosa necessaria. Non un’umanità che conduca la sua vita ordinaria, come fa ora, appena toccata da influenze spirituali, ma un’umanità che aspiri ardentemente ad una legge che per lei è ancora anormale, finchè tutta la vita non sia elevata alla spiritualità: questa è la strada scoscesa che si presenta all’uomo che vuole raggiungere la perfezione, questa la trasformazione che deve compiere.
22. Infatti il modo di comportarsi dell’umanità nei confronti di un’ideale è di accontentarsene come di un’aspirazione che in genere resta tale e nulla più, e viene accettata solo come influenza parziale. Non si permette all’ideale di plasmare tutta la vita, ma solo di colorirla più o meno; esso viene sovente usato persino come copertura e come pretesto per cose che sono diametralmente opposte al suo vero spirito. Si creano delle istituzioni che si suppone, ma troppo leggermente, incarnino quello spirito, ed il fatto che l’ideale venga mantenuto e che gli uomini vivono sotto l’egidia delle sue istituzioni viene ritenuto sufficiente. Il mantenimento di un ideale diviene quasi un pretesto per non vivere in conformità con esso; l’esistenza delle istituzioni è sufficiente per eliminare la necessità di insistere sullo spirito che le ha create. Ma la spiritualità è per sua natura una cosa soggettiva e non meccanica; non è niente se non è vissuta interiormente e se la vita esteriore non promana da questo vivere interiore. I simboli, i tipi, le convenzioni, le idee, non bastano. Un simbolo spirituale è soltanto un’etichetta senza significato, se la cosa che rappresenta non è realizzata nello spirito. Una convenzione spirituale può perdere o espellere il suo spirito e
diventare così una falsità. Un tipo spirituale può essere uno stampo momentaneo in cui può riversarsi il vivere spirituale, ma è anche una limitazione e può diventare una prigione in cui si fossilizza e perisce. Un’idea spirituale è una forza, ma solo quando è creativa, sia interiormente che esteriormente. Qui dobbiamo allargare ed approfondire il principio pragmatico secondo cui la verità è ciò che creiamo: essa è ciò che creiamo dentro di noi, in altre parole, ciò che diventiamo. Indubbiamente la verità spirituale esiste eternamente al di là, indipendentemente da noi, nei cieli dello Spirito; ma non è di alcuna utilità per l’umanità quaggiù, non diventa verità della terra, finchè non è vissuta.
Lucida trasposizione teosofica-filosofica tra il rapporto umano e le conseguenze sociali che
accompagnano e hanno accompagnato la “nostra” spesso inconsapevole crescita spirituale
nell’ultimo secolo.
Distinzione valida e attenta sulle varie parti dell’essere umano. Indispensabile compendio didattico
e versatile contributo nell’azione mentale dell’apprendimento di ciascuno.
1. Sri Aurobindo distingue quattro parti nell’essere: La mente, il vitale, il fisico e lo psichico. La mente è la parte pensante: l’uomo è essenzialmente un essere pensante. Con il termine “vitale” Sri Aurobindo indica quella parte dell’essere che è sede degli impulsi, desideri, appetiti, passioni e istinti, mentre il fisico indica le attività e reazioni proprie del corpo. Per quanto riguarda il termine “psichico”, Aurobindo gli dà un significato molto preciso: esso designa l’anima, l’elemento permanente che racchiude la scintilla divina (e che secondo la tradizione indiana, si reincarna).
Ciascuna di queste parti dell’essere, sottolinea Aurobindo, hanno una loro coscienza propria, un’individualità complessa e una formazione naturale indipendente dal resto. La mente, il vitale e il fisico sono semplici strumenti al servizio del nostro psichico e devono normalmente portare alla sua scoperta.
2. Avendo distinto quattro livelli nell’essere: la mente, il vitale, il fisico e lo psichico, Aurobindo precisa che i livelli vitale e fisico hanno anch’essi una coscienza propria e una mente di cui si servono per organizzare, giustificare o affermare le loro attività: impulsi, desideri, necessità, emozioni o passioni.
3. Aurobindo distingue la conoscenza psichica dalla conoscenza mentale. La conoscenza psichica è una conoscenza diretta, immediata e totale: conosciamo una cosa o una persona perché siamo questa cosa o questa persona. E’ una conoscenza per identità e poggia sull’unità profonda dell’esistenza. La mente, invece, comincia col proiettare il mondo e le cose fuori da se stessa, per dover in seguito imparare indirettamente e frammentariamente ciò che ha esiliato dal proprio essere. E’ una conoscenza per differenze e poggia sulla divisione dell’esistenza. La conoscenza psichica o conoscenza dell’anima porta quindi ad una conoscenza vera, una conoscenza d’insieme che oltrepassa i limiti di spazio e tempo e lo stampo stretto del corpo in cui l’uomo è rinchiuso. Scoprire l’essere psichico significa conoscere la vera legge del nostro essere e della nostra azione, la verità profonda della nostra esistenza e del mondo.
4. Ricordiamo che Aurobindo chiama “essere vitale” quella parte dell’uomo sede dei desideri, degli impulsi, delle passioni, dei sentimenti o degli appetiti. La parte vitale dell’uomo ha una sua coscienza propria, indipendente dalla sua coscienza mentale. Anche l’essere fisico ha una sua coscienza, indipendente dal vitale e dalla mente.
5. Aurobindo distingue vari livelli della mente: i livelli superiori o sovracoscienti, che chiama rispettivamente (in ordine discendente): sovramente, mente intuitiva, mente illuminata, mente superiore, mente comune o mente pensante e i livelli inferiori che costituiscono la base evolutiva della mente: La mente vitale, la mente fisica e la mente cellulare. La mente fisica è una specie di prima “mentalizzazione” della Materia: è una mente meccanica, ripetitiva, microscopica, che registra tutto e ripete ostinatamente le sue minuscole esperienze, i suoi timori, le sue paure, le sue “saggezze”. Tramite essa la mente si è dapprima fissata nella Materia, ma le sue tendenze “fissative” sono un ostacolo considerevole allo sviluppo della coscienza e sono causa di molte malattie ricorrenti.
6. La mente ordinaria nell’uomo non è proprio la mente pensante in senso stretto, è una mente vita, è, potremmo dire, una mente vitale, che ha imparato a pensare e persino a ragionare, ma per propri fini e su proprie linee, non su quelle di una vera mente di conoscenza.
7. Per Aurobindo, le divisioni della coscienza seguono l’ascesa evolutiva, e ciò sembra logico poiché è proprio nella Materia e a partire da essa che si sono sviluppati livelli di coscienza sempre più elevati. L’inconscio rappresenta quindi la nostra base materiale e corporea (ma questa “coscienza” nasconde una coscienza segreta che diventa progressivamente cosciente di se stessa nel corso dell’evoluzione). Il subconscio rappresenta i livelli inferiori dell’evoluzione, subcoscienti o imperfettamente coscienti: è il nostro passato evolutivo. Il sovracosciente rappresenta i livelli di coscienza che non sono ancora entrati nella nostra coscienza normale tranne in rare eccezioni o in momenti particolari: è il nostro avvenire evolutivo.
8. L’uomo, non possedendosi, ma solo cercando di trovarsi, non sapendo consciamente, ma obbedendo solo subconsciamente o semiconsciamente alle intimazioni della legge della propria natura, con inciampi, esitazioni e deviazioni e con una serie di violenze fatte a sé e agli altri, ha
dovuto farsi strada tra un intrico di verità e di errore, di giusto e di sbagliato, di costrizioni e rivolte e maldestri adattamenti; egli non ha ancora né la vastità di conoscenze, né la flessibilità di mente né la purezza di carattere che gli permetterebbero di seguire la legge della libertà e dell’armonia anziché quella della discordia e dell’irregimentazione, della costrizione, dell’accomodamento e della contesa. Eppure quello è proprio il compito di un’era soggettiva in cui la conoscenza aumenta e si diffonde con rapidità senza precedenti, in cui la capacità si generalizza, gli uomini e le nazioni si avvicinano, ed in parte si uniscono (sia pure in un inestricabile e confuso groviglio di caotica unità) e vengono costretti a conoscersi fra loro e conoscere più a fondo se stessi, l’umanità, Dio e il mondo, in cui l’idea di autorealizzazione per gli uomini e le nazioni viene consapevolmente in superficie; è il compito naturale, e dovrebbe essere la consapevole speranza dell’uomo di tale era, di conoscersi veramente, di trovare la legge ideale del suo essere e del suo sviluppo e, se neppure allora può seguirla idealmente a causa delle difficoltà della sua natura egoistica, nondimeno deve mantenerla davanti a sé e trovare a poco a poco il modo in cui possa diventare sempre più il principio formatore della sua esistenza individuale e sociale.
9. La conoscenza dev’essere aggressiva, se vuole sopravvivere e perpetuarsi: lasciare sotto o intorno ad essa una vasta ignoranza significa esporre l’umanità al perenne rischio di una ricaduta nelle barbarie.
10. Gli atomi e gli elementi organizzano la Materia brutta, la pianta sviluppa l’essere vivente, l’animale prepara e porta ad un certo tipo di organizzazione meccanica il materiale grezzo della Mente; ma l’ultima opera – la conoscenza ed il controllo di tutte queste cose, nonché l’autoconoscenza e l’autocontrollo – è stata riservata all’uomo essere mentale della Natura. Perché egli possa compiere meglio il lavoro che essa gli ha dato, la Natura lo costringe a ripetere fisicamente, e fino ad un certo punto mentalmente, certi stadi della sua evoluzione animale; e anche quando egli è in possesso del proprio essere mentale, essa lo induce continuamente a soffermarsi con interesse e persino con un certo assorbimento, sulla Materia, la Vita, il proprio corpo, e la propria esistenza vitale. Ciò è necessario per la vastità dei progetti che la Natura ha su di lui. Il piano naturale assorbimento dell’uomo nel corpo e nella vita è ristretto e privo di intelligenza; man mano che aumentano la sua intelligenza e la sua forza mentale, egli comincia a liberarsi, a potere salire più in alto, pur rimanendo legato alle sue radici vitali e materiali del bisogno e del desiderio; deve quindi ritornare su queste ma con maggiore curiosità, con un più grande potere di utilizzazione, con uno scopo sempre più altamente mentale, e infine sempre più spirituale. I cicli umani sono infatti come tante spirali di una crescente ma ancora imperfetta armonia e sintesi, e la Natura riporta l’Uomo bruscamente indietro ai propri principi originali, talvolta persino a qualcosa di simile alle proprie condizioni primitive, in modo che egli possa ricominciare da capo su una più ampia curva di progresso e di autorealizzazione.
11. Infatti l’idealista, il pensatore, il filosofo, il poeta e l’artista e persino il moralista, tutti coloro che vivono principalmente nell’astrazione quando si trovano a tu per tu con i problemi della vita pratica sembrano essere piuttosto in imbarazzo, e vengono sistematicamente sconfitti ogni volta che tentano di governare la vita con le loro idee. Essi esercitano sì una forte influenza, ma in modo indiretto, più gettando le loro idee nella Vita (la quale le utilizza come vuole la Volontà segreta nascosta in essa), che non con un’azione diretta e sufficientemente ordinata. Non che l’empirico puro, ossia l’uomo pratico, riesca meglio con la sua azione diretta, perché anche quella viene presa dalla volontà segreta nella vita e rivolta a tutt’altri fini di quelli che l’uomo si era prefisso. Anzi gli ideali e gli idealisti sono necessari, gli ideali sono il sapore e la linfa della vita, e gli idealisti i più potenti divinatori e collaboratori dei suoi propositi. Ma riducete l’ideale a sistema, ed ecco che comincia a venir meno; applicate le regole generali e le idee fisse sistematicamente, come farebbe il dottrinario, e la vita quanto prima irrompe, o sfugge alla loro presa, o trasforma il sistema, anche mentre esiste nominalmente, in qualcosa che l’ideatore stesso non riconoscerebbe e forse ripudierebbe come la vera contraddizione dei principi che egli cercava di eternare.
12. L’uomo infatti non vive per la sola conoscenza; la vita nel suo significato più ampio è la sua principale preoccupazione, ed egli ricerca la conoscenza per la sua utilità alla vita molto più che per il puro piacere di acquisire conoscenza. Ma è proprio in questo porre la conoscenza al servizio della vita che l’intelletto umano cade in questa confusione e in quell’imperfezione che insegnano ogni azione umana. Fintanto che perseguiamo la conoscenza per se stessa, non c’è niente da dire: la ragione svolge la sua funzione naturale; essa esercita sicuramente il suo massimo diritto.
Nel lavoro del filosofo, dello scienziato, del sapiente, che si sforzano di aggiungere qualcosa al bagaglio delle nostre conoscenze verificabili, vi è una purezza ed una soddisfazione altrettanto perfette quanto in quello del poeta e dell’artista che creano forme di bellezza per il godimento estetico della razza. Qualunque errore e limite individuale possano esservi, non ha importanza, perché la conoscenza collettiva e progressiva della razza ha conquistato la verità che è stata scoperta e si può sperare che col tempo si libererà dall’errore. E’ quando tenta di applicare le idee alla vita che l’intelletto umano incespica e si trova in imbarazzo.
13. Non chiedete alla ragione di propendere per un’unica idea, ma di fare una combinazione eclettica o un’armonia sintetica, e vi soddisferà; ma, essendoci un numero illimitato di possibili combinazioni ed armonie, essa giustificherà sia l’una che l’altra e la sosterrà o la rovescerà a seconda che lo spirito nell’uomo ne sia attratto o ne rifugga. Perché in realtà è proprio lo spirito dell’uomo a decidere, e la ragione non è che un brillante servitore e ministro di questo sovrano velato e segreto.
14. Ciò che è impossibile o assurdo per la ragione lasciata a se stessa, diventa reale e giusto per la ragione innalzata al di là di se stessa dal potere dello spirito e irradiata dalla sua luce. Allora essa viene dominata dalla mente intuitiva, che è il nostro mezzo per passare ad un ancor più alto principio di conoscenza. La più ampia spiritualità non esclude né scoraggia qualsiasi attività o facoltà umana essenziale, ma piuttosto opera per sollevarle tutte dalla loro imperfezione e dalla loro brancolante ignoranza, le trasforma col suo tocco e le rende strumenti della sua luce, del potere e della gioia dell’essere divino e della natura divina.
15. L’etica comincia infatti soltanto con l’esigenza da parte dell’uomo di qualcosa di diverso dalle sue preferenze personali, dai suoi piaceri vitali e dai suoi interessi materiali; e questa esigenza sembra agire inizialmente su di lui attraverso la sua necessità di rapporti con gli altri, per i bisogni della sua esistenza sociale. Ma che quello non sia il nocciolo della questione è dimostrato dal fatto che l’esigenza etica non quadra sempre con l’esigenza sociale, né la forma etica coincide sempre con la norma sociale. Anzi l’uomo etico è spesso chiamato a respingere e combattere l’esigenza sociale, a rompere, ad abbandonare, a ribaltare la norma sociale. I suoi rapporti con gli altri e quelli con se stesso sono entrambi cause immediate della sua crescita etica; ma ciò che determina il suo essere etico sono i suoi rapporti con Dio, la pressione del Divino su di lui, sia esso nascosto nella sua natura o cosciente nel suo sé superiore o nel suo intimo genio. Egli obbedisce ad un’ideale interiore, non ad una norma esteriore; egli risponde ad una legge divina nel suo essere, non ad una pretesa sociale o ad una necessità collettiva. L’imperativo etico non viene dall’esterno, ma da dentro di lui e sopra di lui.
16. La vita non può arrivare ai suoi segreti traguardi finali seguendo la sue prime forze motrici infrarazionali dell’istinto e del desiderio, perché in quel campo tutto è un brancolare ed un cercare senza trovare, un mondo di brevi soddisfazioni, marchiato col sigillo dell’ insufficienza e della precarietà proprie dell’Inconscio. Ma neppure la ragione umana può dargli ciò che cerca dato che può solo produrre delle mezze luci ed un ordine provvisorio. Perciò la spinta verso l’alto della vita non può restare soddisfatta nell’uomo così com’è, il suo impulso evolutivo non può arrestarsi a questo termine transitorio, a questo mezzo conseguimento. Deve mirare ad una più alta capacità di coscienza, lasciar scaturire dalla vita e dalla mente qualcosa che è ancora latente ed appena abbozzato. I traguardi finali della vita sono spirituali e sono raggiungibili solo nella piena luce del sé e dello spirito liberati. Quella piena luce non è l’intelletto o la ragione, ma una conoscenza per unità ed identità interiori; è la luce innata ed autonoma della coscienza spirituale pienamente sviluppata e, lungo il percorso che porta a tale luce e la prepara, è una conoscenza per intimo contatto interiore con la verità delle cose e degli esseri, una conoscenza intuitiva e nata da una segreta unità. La vita cerca di conoscere se stessa; è solo alla luce dello spirito che può riuscirvi. Essa cerca una guida ed una padronanza illuminata dei propri movimenti; è solo quando trova in sé questo io interiore e questo spirito, e per mezzo suo o in obbedienza ad esso guida i propri passi, che può avere la volontà illuminata di cui ha bisogno e la sicurezza infallibile del comando. E’ solo così infatti che le cieche certezze degli istinti e le ipotesi e le teorie speculative nonché le certezze sperimentali e deduttive della ragione possono essere sostituite dalle certezze spirituali, dalla visione spirituale. La vita cerca l’esaudimento dei suoi istinti d’amore e di compassione, dei suoi aneliti all’accordo ed all’unione, ma questi subiscono le interferenze degli istinti opposti, ed è soltanto la coscienza spirituale, con la sua unità oramai realizzata, che può abolire queste opposizioni. La vita cerca il pieno sviluppo dell’essere, ma può raggiungerlo solo quando l’essere limitato abbia trovato in sé l’intima anima della sua esistenza, ed intorno ad essa il proprio sé di coscienza cosmica, capace di sentire il mondo ed ogni essere in sé e come sé. La vita cerca il potere, ma è soltanto il potere dello spirito e di questa cosciente unità che può darle la padronanza di sé e del suo mondo. Essa cerca il piacere, la fedeltà, la beatitudine, ma le forme infrarazionali di queste sono afflitte da imperfezione, frammentarietà, provvisorietà e sempre si scontrano con i loro opposti. Inoltre la vita infrarazionale reca ancora, nelle sua insensibilità di fondo, ottusità di tempra e debolezza di reazione vibratoria, qualche impronta dell’Inconscio; non può raggiungere la vera
felicità e la beatitudine, né sopportare a lungo i piaceri che riesce ad ottenere, né sa mantenere e reggere le forti intensità di questi stati. Solo lo spirito possiede il segreto di una felicità o di un’estasi incontaminate e permanenti; solo lo spirito è capace di reggere e rispondere alle loro vibrazioni, solo lo spirito può raggiungere e giustificare il piacere o la gioia spirituali dell’esistenza come una delle forme dell’infinita ed universale felicità d’essere. La vita cerca un’armoniosa attuazione di tutti i suoi poteri, ora divisi e in conflitto, di tutte le sue possibilità, le sue parti, i suoi membri; ma ciò è possibile soltanto nella coscienza dell’unico Sé, dello spirito, perché solo nello spirito essi raggiungono la loro piena verità e il loro perfetto accordo, nella luce dell’autoesistenza integrale. Esiste quindi un fine ultimo sovrarazionale della Vita, così come esistono una Verità, una Bontà ed una Bellezza sovrarazionali. Il tentativo di raggiungere tale fine è il significato spirituale di questa Natura-Vita, della sua ricerca e del suo anelito.
17. Ma anche all’interno delle comunità stesse la ragione e la spiritualità sono sempre intralciate e messe in pericolo in questo stadio, dal fatto di esistere in un ambiente e in un’atmosfera che non sono i loro. L’elite, le classi investite di questi poteri, sono obbligate a costringerle entro forme che siano accettate dalla massa dell’ignoranza umana che esse guidano e governano, così tanto la ragione quanto la spiritualità tendono ad essere soffocate da queste forme, a diventare stereotipate, a fossilizzarsi, a perdere vitalità, perché impedite nel loro naturale esprimersi. In secondo luogo, dato che dopo tutto fanno parte della massa, questi elementi superiori illuminati sono essi stessi influenzati dalle loro parti infrarazionali e non arrivano, se non nei singoli, al gioco interamente libero della ragione o alla libera luce dello spirito. In terzo luogo, c’è sempre il pericolo che questi elementi superiori gravitino verso il basso, cioè verso l’ignoranza […].
Questo nuovo ciclo deve tentare di universalizzare anzitutto l’abitudine della ragione e l’applicazione alla vita dell’intelligenza e della volontà intelligente. Così ha inizio l’era razionale della società umana, quel grande tentativo di portare il potere della ragione e dell’intelligenza a governare su tutto ciò che siamo e facciamo ed organizzare, alla loro luce e con la loro forza guida, l’intera esistenza della razza.
18. Infatti l’uomo comune non è ancora un essere razionale; emergendo da un lungo passato infrarazionale, egli non è naturalmente capace di formarsi un giudizio ragionevole, ma pensa o secondo i propri interessi, impulsi e pregiudizi, oppure secondo le idee di altri dotati di un’intelligenza più attiva o di un potere d’azione più rapido, e che sono in grado di esercitare in qualche modo un’influenza sulla sua mente. Inoltre, egli non usa ancora la ragione per giungere ad un accordo con i suoi simili, ma piuttosto per imporre le proprie opinioni attraverso il conflitto e la disputa con le opinioni degli altri. Essenzialmente può utilizzare la ragione per la ricerca della verità, ma di norma questa gli serve per giustificare i suoi impulsi, pregiudizi ed interessi, e sono proprio questi a determinare, o perlomeno a scolorire e sfigurare del tutto i suoi ideali, sempre chè abbia imparato ad averne. Infine, egli non usa la sua libertà per arrivare ad adeguare in modo razionale la sua vita a quella degli altri; la sua tendenza naturale è di far valere gli scopi della sua vita anche a spese, o come si dice eufemisticamente, in concorrenza con la vita degli altri. Viene così a formarsi un abisso fra l’ideale ed i primi risultati della sua messa in pratica. Nasce così una disparità fra fatto e idea che conduce inevitabilmente alla disillusione ed al fallimento.
19. La soluzione non si trova nella ragione, ma nell’anima dell’uomo, nelle sue tendenze spirituali. E’ unicamente una libertà spirituale, interiore, che può creare un ordine umano perfetto. E’ unicamente un’illuminazione spirituale, maggiore di quella razionale, che può dar luce alla natura vitale dell’uomo ed imporre armonia ai suoi egoismi, ai suoi antagonismi e alle sue discordie. Una più profonda fratellanza, una legge d’amore non ancora scoperta, sono i soli fondamenti possibili per una perfetta evoluzione sociale; nient’altro le può sostituire. Ma questa fratellanza e quest’amore non possono avanzare per mezzo degli istinti vitali e della ragione, in cui possono essere affrontati, frustrati e fuorviati da ragionamenti opposti e da altri istinti discordanti. Né potranno trovarsi nel cuore naturale dell’uomo dove risiedono molte altre passioni che vi si oppongono. E’ nell’anima che devono trovare le radici; è un amore fondato su una più profonda verità del nostro essere, una fratellanza o, diciamo – poiché questo è un sentimento diverso da ogni senso vitale o mentale di fratellanza, una forza motrice più calma e durevole – un cameratismo spirituale, che è l’espressione di una realizzazione interiore dell’unità.
20. La volontà centrale di vita dell’uomo è ancora situata nel suo essere vitale e fisico – illuminato, è vero, e controllato in certa misura nei suoi impulsi dai poteri superiori – ma solo parzialmente illuminato, non trasformato; controllato, non dominato ed innalzato su un piano superiore. La vita più elevata è ancora solo una cosa sovrapposta a quella più bassa, un perpetuo intruso nella nostra esistenza normale. L’intruso interferisce continuamente con la vita normale; rimprovera, incoraggia, scoraggia, ammaestra, manipola, regola, solleva solo per lasciar cadere, ma non ha il potere di trasformare, di alchemizzare, di ri-creare. Tutto il malessere, l’insoddisfazione, la delusione, il logoramento, la malinconia, il pessimismo della mente umana vengono dall’insuccesso pratico dell’uomo nel risolvere l’enigma e le difficoltà della sua duplice natura.
21. E’ importante notare questa verità, perché gli errori commessi sul sentiero sono spesso persino più istruttivi di quelli commessi allontanandosi dal sentiero. Come è possibile sovrapporre la vita intellettuale, etica ed estetica (o la somma dei loro moventi) alla natura vitale e fisica e accontentarsi di una dominazione parziale o di un compromesso, così è possibile sovrapporre la vita spirituale (o qualche apparenza di forza spirituale o qualche ascendente di idee e moventi spirituali) alla natura mentale, vitale e fisica e, o impoverire l’esistenza vitale e fisica e persino deprimere quella mentale per concedere all’esistenza spirituale un più facile predominio, oppure venire ad un compromesso e lasciare l’essere inferiore ai suoi pascoli a patto che renda frequente omaggio all’esistenza spirituale, accetti entro certi limiti la sua influenza e la riconosca come lo stato definitivo e la finalità dell’essere umano. Questo è il massimo che la società umana abbia mai fatto in passato, e benchè quella debba necessariamente essere una tappa del viaggio, rimanervi significa non afferrare il vero senso della questione, l’unica cosa necessaria. Non un’umanità che conduca la sua vita ordinaria, come fa ora, appena toccata da influenze spirituali, ma un’umanità che aspiri ardentemente ad una legge che per lei è ancora anormale, finchè tutta la vita non sia elevata alla spiritualità: questa è la strada scoscesa che si presenta all’uomo che vuole raggiungere la perfezione, questa la trasformazione che deve compiere.
22. Infatti il modo di comportarsi dell’umanità nei confronti di un’ideale è di accontentarsene come di un’aspirazione che in genere resta tale e nulla più, e viene accettata solo come influenza parziale. Non si permette all’ideale di plasmare tutta la vita, ma solo di colorirla più o meno; esso viene sovente usato persino come copertura e come pretesto per cose che sono diametralmente opposte al suo vero spirito. Si creano delle istituzioni che si suppone, ma troppo leggermente, incarnino quello spirito, ed il fatto che l’ideale venga mantenuto e che gli uomini vivono sotto l’egidia delle sue istituzioni viene ritenuto sufficiente. Il mantenimento di un ideale diviene quasi un pretesto per non vivere in conformità con esso; l’esistenza delle istituzioni è sufficiente per eliminare la necessità di insistere sullo spirito che le ha create. Ma la spiritualità è per sua natura una cosa soggettiva e non meccanica; non è niente se non è vissuta interiormente e se la vita esteriore non promana da questo vivere interiore. I simboli, i tipi, le convenzioni, le idee, non bastano. Un simbolo spirituale è soltanto un’etichetta senza significato, se la cosa che rappresenta non è realizzata nello spirito. Una convenzione spirituale può perdere o espellere il suo spirito e
diventare così una falsità. Un tipo spirituale può essere uno stampo momentaneo in cui può riversarsi il vivere spirituale, ma è anche una limitazione e può diventare una prigione in cui si fossilizza e perisce. Un’idea spirituale è una forza, ma solo quando è creativa, sia interiormente che esteriormente. Qui dobbiamo allargare ed approfondire il principio pragmatico secondo cui la verità è ciò che creiamo: essa è ciò che creiamo dentro di noi, in altre parole, ciò che diventiamo. Indubbiamente la verità spirituale esiste eternamente al di là, indipendentemente da noi, nei cieli dello Spirito; ma non è di alcuna utilità per l’umanità quaggiù, non diventa verità della terra, finchè non è vissuta.
Tratto da: Il Ciclo umano (Sri Aurobindo)