IL VITALE
Parte IV
Eccoci dunque quasi al termine di questa così importante collocazione energetica - denominata per semplificare, semplicemente VITALE; certo non deve essere semplice - per ognuno in maniera diversa, districarsi in simili labirinti concettuali. Del resto, come già affrontato in precedenza, concepire in teoria la 'strumentalità' di questo o quel centro energetico e riportarci, perlomeno idealmente al Verbo che vibra all'unisono, può risultare quantomeno ambiguo. Il vero problema però, ciò che risalta come domanda (spesso inespressa) frequente: sta proprio nella sua valutazione geografica.
L'uomo ha quindi grosse carenze informative per comprendere al meglio dove doversi concentrare nel corpo!
E dal momento che parliamo di YOGA INTEGRALE, la richiesta è tutt'altro che superflua. La soluzione (anche se non si tratta proprio di una soluzione) va intravista nel Problema. Sempre che il Problema venga visto! Verrebbe da sentenziare che: senza Problema non si esce dal Problema.
Lo stimolo a superarsi, a guardarsi oltre, viene quindi rivolto - per molti forse con troppa astrazione - all'intuito disillusorio che ci colloca materialmente, che ci riproduce in quanto esseri separati. Questo preambolo non tanto per giustificare qualche nebulosa teoria filosofica, bensì ad aprire un nuovo determinismo Vitale! L'energia inespressa che (al contrario di quello che possiamo pensare) ci viene incontro, se solo lasciamo che accada, potrà così evolvere con coerenza! Un'energia che la deve smettere di autocelebrarsi, di autosostenersi, ma che riesca ad unirsi a quella grande 'onda' che non crediamo possibile! Un'onda che faccia intravedere cosa realmente siamo in grado di muovere. La trappola empirica, il sapore oramai insipido della Scienza molecolare deve potersi lasciare accarezzare da una 'Nuova Possibilità', la quale, contrariamente a ciò che crediamo, apre a nuovi orizzonti, incontaminati dall'idea del passato. Il NUOVO sarà dunque NON un riciclo del vecchio, ma la più trasparente Porta verso un agire meno costretto dal Corpo Carnale.
Fabbri Marco
L'uomo ha quindi grosse carenze informative per comprendere al meglio dove doversi concentrare nel corpo!
E dal momento che parliamo di YOGA INTEGRALE, la richiesta è tutt'altro che superflua. La soluzione (anche se non si tratta proprio di una soluzione) va intravista nel Problema. Sempre che il Problema venga visto! Verrebbe da sentenziare che: senza Problema non si esce dal Problema.
Lo stimolo a superarsi, a guardarsi oltre, viene quindi rivolto - per molti forse con troppa astrazione - all'intuito disillusorio che ci colloca materialmente, che ci riproduce in quanto esseri separati. Questo preambolo non tanto per giustificare qualche nebulosa teoria filosofica, bensì ad aprire un nuovo determinismo Vitale! L'energia inespressa che (al contrario di quello che possiamo pensare) ci viene incontro, se solo lasciamo che accada, potrà così evolvere con coerenza! Un'energia che la deve smettere di autocelebrarsi, di autosostenersi, ma che riesca ad unirsi a quella grande 'onda' che non crediamo possibile! Un'onda che faccia intravedere cosa realmente siamo in grado di muovere. La trappola empirica, il sapore oramai insipido della Scienza molecolare deve potersi lasciare accarezzare da una 'Nuova Possibilità', la quale, contrariamente a ciò che crediamo, apre a nuovi orizzonti, incontaminati dall'idea del passato. Il NUOVO sarà dunque NON un riciclo del vecchio, ma la più trasparente Porta verso un agire meno costretto dal Corpo Carnale.
Fabbri Marco
IL VERO VITALE
C'è dunque una soglia da varcare se vogliamo trovare la forza vera dietro la vita agitata dell'uomo frontale. Secondo le spiritualità tradizionali questo passaggio è disseminato d'ogni sorta di mortificazioni e rinunce (che, tra parentesi, esaltano soprattutto la buona opinione che l'asceta ha di sè). Ma le nostre prospettive sono diverse: noi non cerchiamo di uscire dalla vita, vogliamo soltanto renderla più vasta; non abbiamo intenzione di rinunciare all'ossigeno per l'idrogeno o viceversa, ma intendiamo studiare la composizione della coscienza per vedere in quali condizioni ci darà un'acqua più chiara e ci farà funzionare meglio. Yoga vuol dire un'arte di vivere più grande [...] L'atteggiamento dell'asceta che dice 'io non voglio niente' e quello dell'uomo comune che dice 'io voglio questo e quello' si equivalgono. Il primo può essere attaccato alla sua rinuncia quanto l'altro al suo possesso. In effetti, se uno ha bisogno di RINUNCIARE a qualche cosa vuol dire che non è pronto, che sta ancora immerso sino al collo nella dualità. Ma anche senza seguire discipline particolari, possiamo fare un certo numero di osservazioni. La prima è che basta dire al vitale: "Rinuncia a questo, lascia perdere quello", perchè il vitale sia preso da un appetito irresistibile e immediato proprio per 'questo' e per 'quello'. O, se accetta di rinunciare, vuol dire che ha tutte le intenzioni di ripagarsi in altra moneta; e già che c'è, preferirà una grande rinuncia a una piccola, perchè il protagonista sarà sempre lui, in positivo o in negativo - i due aspetti sono per lui ugualmente appaganti. Smascherando questo piccolo meccanismo abbiamo colto in pieno il modo di comportarsi del vitale, vale a dire la sua totale indifferenza ai nosri casi umani: la sofferenza lo appassiona quanto l'allegria, la privazione quanto l'abbondanza, l'odio quanto l'amore, la tortura quanto l'estasi. Tanto, lui s'ingrassa comunque. Il vitale è infatti una Forza: che è sempre la stessa, sia nel dolore che nel piacere. Così, crudamente e senza eccezioni, si svela l'assoluta ambivalenza di tutti i sentimenti che costituiscono la nostra beneamata personalità di facciata. Ogni sentimento è il rovescio di un altro, in qualsiasi momento può ribaltarsi nel suo 'opposto' - ecco allora il filantropo deluso (o piuttosto il vitale deluso del filantropo) diventare pessimista, l'apostolo dell'amore fuggire nel deserto, lo scettico irriducibile diventare settario, il puro scandalizzarsi di tutto ciò che non osa fare. Cogliamo così un altro difettuccio del vitale di superficie: è un istrione incorreggibile, contento di recitare su qualunque scena (non giureremmo che anche la morte della mamma non gli dia un sottile piacere). Ogni volta che gridiamo, di dolore o d'indignazione (qualsiasi grido va bene), vuol dire che c'è dentro di noi una scimmia che ci sta prendendo in giro. In fondo lo sappiamo, eppure non la smettiamo con i nostri bei sentimenti. Infine, culmine dei suoi talenti, il vitale eccelle nel confondere tutto. E' anzi la confusione incarnata: scambia l'irruenza dei suoi sentimenti per forza di verità e prende per la cima di una montagna il cratere fumoso di un vulcano in fondo all'abisso.
S'impone subito un'altra osservazione, corollario della prima: tranne quando vi è congiunzione di egoismi, il vitale si rivela del tutto impotente ad aiutare chichessia, o anche semplicemente a comunicare con gli altri. Non c'è UNA SOLA vibrazione vitale da noi emessa, o meglio da noi ritrasmessa, che non possa mutarsi nel proprio contrario appena arriva a destinazione: basta volere il bene di qualcuno per svegliare automaticamente il male corrispondente (o la resistenza corrispondente o la volontà contraria), come se uno fosse il perfetto equivalente dell'altro, seguendo un meccanismo altrettanto spontaneo e ineluttabile di una reazione chimica. In realtà il vitale non cerca di aiutare nessuno: cerca sempre e soltanto di prendere, in tutti i modi. Tutti i nostri nobili sentimenti hanno sempre una coloritura di accaparramento. Ad esempio provare dolore per il tradimento di un amico - o qualunque altro tipo di dolore - è un segno indiscutibile dell'ego: se infatti amassimo veramente le persone per quelle che sono, e non per noi stessi, vorremmo loro bene in ogni caso, anche quando diventassero nemiche; e comunque proveremmo gioia per il puro fatto che esistono.
In realtà i nosri dolori e le nostre pene sono ambigui e quindi sempre falsi. Soltanto la gioia è vera. L'unico 'io' vero dentro di noi è quello che abbraccia tutte le esistenze e tutti i contrari possibili dell'esistenza. Noi soffriamo perchè vediamo le cose fuori di noi. E invece tutto è dentro di noi, tutto è gioia: non esiste vuoto da nessuna parte. Forse qualcuno protesterà in nome dei sentimenti, magari obietterà: "E allora... il Cuore" (con la C maiuscola)? Ma non è proprio il cuore la sede delle maggiori ambiguità? E per giunta fa così presto a stancarsi! Ecco la terza osservazione. La nostra capacità di gioia è modesta, e modesta è la nostra capacità di soffrire: anche le peggiori calamità ci lasciano ben presto indifferenti e l'acqua dell'oblio porta via rapidamente i nostri più cocenti dolori.
[...]
Continua...
Tratto da: L'avventura della Coscienza (ed. Mediterranee)
S'impone subito un'altra osservazione, corollario della prima: tranne quando vi è congiunzione di egoismi, il vitale si rivela del tutto impotente ad aiutare chichessia, o anche semplicemente a comunicare con gli altri. Non c'è UNA SOLA vibrazione vitale da noi emessa, o meglio da noi ritrasmessa, che non possa mutarsi nel proprio contrario appena arriva a destinazione: basta volere il bene di qualcuno per svegliare automaticamente il male corrispondente (o la resistenza corrispondente o la volontà contraria), come se uno fosse il perfetto equivalente dell'altro, seguendo un meccanismo altrettanto spontaneo e ineluttabile di una reazione chimica. In realtà il vitale non cerca di aiutare nessuno: cerca sempre e soltanto di prendere, in tutti i modi. Tutti i nostri nobili sentimenti hanno sempre una coloritura di accaparramento. Ad esempio provare dolore per il tradimento di un amico - o qualunque altro tipo di dolore - è un segno indiscutibile dell'ego: se infatti amassimo veramente le persone per quelle che sono, e non per noi stessi, vorremmo loro bene in ogni caso, anche quando diventassero nemiche; e comunque proveremmo gioia per il puro fatto che esistono.
In realtà i nosri dolori e le nostre pene sono ambigui e quindi sempre falsi. Soltanto la gioia è vera. L'unico 'io' vero dentro di noi è quello che abbraccia tutte le esistenze e tutti i contrari possibili dell'esistenza. Noi soffriamo perchè vediamo le cose fuori di noi. E invece tutto è dentro di noi, tutto è gioia: non esiste vuoto da nessuna parte. Forse qualcuno protesterà in nome dei sentimenti, magari obietterà: "E allora... il Cuore" (con la C maiuscola)? Ma non è proprio il cuore la sede delle maggiori ambiguità? E per giunta fa così presto a stancarsi! Ecco la terza osservazione. La nostra capacità di gioia è modesta, e modesta è la nostra capacità di soffrire: anche le peggiori calamità ci lasciano ben presto indifferenti e l'acqua dell'oblio porta via rapidamente i nostri più cocenti dolori.
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Continua...
Tratto da: L'avventura della Coscienza (ed. Mediterranee)
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