giovedì 13 settembre 2012

TRA CIELO E TERRA



[...] La vera utilità della Scienza non è certo quella che gli viene attribuita, non certo quella di aver inventato super aerei a reazione.. Il suo vero SCOPO è quello di aver tessuto un reticolo così spesso, così denso, stritolando ogni parte del globo, tra tutti gli anfratti umani, in tutti i suoi gangli indomabili, al punto che, non possa accadere nulla in una specifica parte del pianeta, che non venga a riflettersi in un altro posto specifico dello stesso! Quindi veniamo a trovarci di fronte ad un legame indissolubile che rende inevitabile che il 'movimento' di\in un luogo, abbia conseguenze anche nell'altro.
Sembra esser questo il vero scopo della Scienza.
Quello appunto di 'imprigionare' questa umanità in una rete che CI unisca tutti nel medesimo cambiamento e MALGRADO ESSO; al di là di ogni singolo assoggettamento morale, l'umanità stessa si trova in questo modo collegata - suo malgrado, a dover lavorare (più o meno armonicamente) per il bene dell'insieme.
Come a far sì che si abbia una presa di coscienza globale, la quale grazie alla Scienza si è resa fattibile. Ciò che un tempo poteva apparire un retaggio di pochi eletti o privilegiati, oggi è di dominio più universale. Questo ragionamento vede la propria realizzazione coerente, se consideriamo che un passaggio evolutivo matura la propria indole coerente nella massa sociale e non certo nell'individuo concepito nella sua individualità! Una nuova specie è come una totalità che sboccia - per così dire, nella specie seguente..non un individuo!
Allora, a ben vedere, questo mezzo appare sotto una luce più strumentale e meno esclusivista; l'evoluzione non è quindi un privilegio per pochi, ma una porta che si apre per tutti (anche se non tutti saranno in grado di trarne eguale beneficio).
Sotto un certo punto di vista il fine delle Scienza è quello di predisporci tutti sotto lo stesso tetto, sotto la stessa provocazione! Una provocazione che risveglia un richiamo universale per così dire..
Quello che noi chiamiamo miracolo, o se preferiamo: la sua esaustivazione, è proprio la conseguenza di un simile passaggio, stretto e scomodo, dove TUTTI veniamo chiamati a partecipare, dove tutti (nell'unione partecipata tramite questo mezzo) si contribuisca a che il corpo terra, il suo grido, la sua malattia 'apparentemente' mortale, possa sfociare in qualcosa di veramente nuovo..
Il grido evolutivo a cui siamo richiamati non va dunque frainteso da un singolo punto di vista, da una visione individuale, marcatamente personale, ma esso stesso richiede una partecipazione incondizionata che possa farci vedere ciò che davvero va visto.. il resto sono chiacchiere..!

Tratto da: Sette giorni in India -Satprem intervistato da Frédéric de Towarnicki

Trad. Fabbri Marco..




 










venerdì 15 giugno 2012

L'ESPANSIONE DELLA COSCIENZA


LA MORTE DELLA PERSONALITA'
Terza parte


[...] In regola generale, l'essenza dell'uomo è, o molto primitiva, selvaggia, ed infantile, oppure semplicemente stupida. Lo sviluppo dell'essenza è il frutto del lavoro su di sè. Nel lavoro su di sè vi è un momento molto importante in cui l'uomo incomincia a distinguere tra la sua personalità e la sua essenza. Il vero 'Io' di un uomo, la sua individualità, può crescere solo a partire dalla sua essenza. Si può dire che l'individualità di un uomo, è la sua essenza divenuta adulta, matura. Ma per consentire all'essenza di crescere è innanzitutto indispensabile attenuare la pressione costante che la personalità esercita su di essa, perchè gli ostacoli alla crescita dell'essenza sono contenuti nella personalità.
Consideriamo l'uomo di media cultura, vedremo che nell'immensa maggioranza dei casi, la sua personalità è l'elemento attivo, mentre la sua essenza è l'elemento passivo. La crescita interiore di un uomo non può incominciare finchè quest'ordine di cose resta inalterato. La personalità deve divenire passiva e l'essenza attiva. Questo può succedere solo quando gli 'ammortizzatori'* (* Per ammortizzatori si intendono tutte quelle scuse, ragioni e ragionamenti, azioni vere e proprie, che delegittimano ogni forma di sforzo per uscire da una risonante abitudine comportamentale: mentale, vitale e fisica. <ndc.>) sono stai tolti, o indeboliti, perchè gli 'ammortizzatori' nel loro insieme, costituiscono l'arma principale di cui si serve la personalità per tenere l'essenza in soggezione.
Come abbiamo già detto, l'essenza degli uomini meno colti è in generale assai più sviluppata dell'essenza degli uomini colti. Sembra dunque che dovrebbero essere più vicini alla possibilità di uno sviluppo, ma in reatà non è così, perchè la loro personalità risulta troppo poco sviluppata. Per crescere interiormente, per incominciare a lavorare su di sè, un certo sviluppo della personalità è necessario, così come un certo vigore dell'essenza. La personalità è costituita dai 'rulli' e dagli 'ammortizzatori' che risultano da un certo lavoro dei centri. Una personalità sviluppata insufficientemente, significa una mancanza di rulli incisi, cioè una mancanza di sapere, una mancanza di informazioni, una mancanza di quel materiale sul quale il lavoro su di sè deve essere basato. Senza una certa somma di conoscenze, senza una certa quantità di questi elementi 'che non sono suoi', un uomo non può incominciare il lavoro su di sè, non può neanche incominciare a studiarsi e a combattere le sue abitudini meccaniche, semplicemente perchè non ci sono ragioni o motivi per intraprendere un simile lavoro. [...]
[...] Per di più, accade talvolta che l'essenza di un uomo muoia mentre la sua personalità ed il suo corpo rimangono vivi. Una considerevole percentuale delle persone che vediamo nelle strade di una grande città sono interiormente vuote; in realtà, esse sono già morte.
Per nostra fortuna non vediamo tutto questo e non ne sappiamo nulla. Se sapessimo quanti uomini sono già morti e quanto numerosi sono questi cadaveri che governano le nostre vite, lo spettacolo di questo orrore ci farebbe perdere la ragione. Infatti, molti uomini sono impazziti perchè hanno intravisto questa realtà senza una preparazione sufficiente: essi hanno visto ciò che non dovevano vedere. Per essere in grado di affrontare senza pericoli questa visione, bisogna essere sulla via. Se un uomo che non può fare nulla vedesse la verità, certamente diverrebbe pazzo. Ma questo accade molto raramente; nello svolgersi normale delle cose, tutto è sistemato in modo tale che nessuno può vedere qualcosa prematuramente. La personalità vede solo ciò che ama vedere e che non è in contrasto con la sua esperienza. Essa non vede mai ciò che non le piace. Questo è allo stesso tempo bene e male. E' un bene per l'uomo che vuol dormire, è un male per l'uomo che vuole svegliarsi. [...] L'accidente collettivo e il destino collettivo sono retti da leggi generali. Un uomo desideroso di crearsi un'individualità propria deve dunque liberarsi dalle leggi generali. Le leggi generali non sono tutte obbligatorie per l'uomo; egli può liberarsi da un gran numero di esse, se perviene a liberarsi dagli 'ammortizzatori' e dall'immaginazione. Tutto ciò si riallaccia a questo problema fondamentale: come liberarsi dalla personalità? La personalità trova il suo nutrimento nell'immaginazione e nella menzogna. Quando diminuirà la menzogna nella quale l'uomo vive, quando la sua immaginazione si sarà indebolita, anche la personalità non tarderà ad indebolirsi e l'uomo potrà passare allora sotto il controllo, sia del suo destino, sia di una linea di lavoro, diretta a sua volta dalla volontà di un altro uomo; in questa maniera, l'uomo può essere condotto sino al punto in cui una volontà può costituirsi in lui, una volontà capace di far fronte all'accidente e, se occorrerà, al destino. [...]


Tratto da: Frammenti di un insegnamento sconosciuto (P.D. Ouspensky) - Casa editrice Astrolabio
A cura di Fabbri Marco

























domenica 10 giugno 2012

L'ESPANSIONE DELLA COSCIENZA


LA MORTE DELLA PERSONALITA'
(Parte seconda)

[...] L'uomo deve rendersi conto che egli non esiste; che non può perdere nulla, perchè non ha niente da perdere; deve realizzare la sua nullità nel senso più forte di questo termine.
"Questa conoscenza della propria nullità, ed essa sola, può vincere la paura di sottomettersi alla volontà di un altro. Benchè possa apparire strano, questa paura infatti è uno dei più grandi ostacoli che l'uomo incontra sulla via. L'uomo ha paura che gli si facciano fare delle cose contrarie ai suoi principi, alle sue concezioni, alle sue idee. Per di più, questa paura produce immediatamente in lui l'illusione di avere realmente dei principi, dei concetti e delle convinzioni, che, in realtà non ha mai avuto e sarebbe incapace di avere. Un uomo che nella sua vita non si è mai occupato di morale, si spaventa subito all'idea che gli si faccia fare qualche cosa di immorale. Un uomo che non ha mai avuto la preoccupazione della propria salute e che ha fatto di tutto per rovinarla, incomincia a temere che gli si faccia fare  qualcosa che possa essergli nefasto. Un uomo che ha mentito a tutti, ovunque, durante tutta la sua vita, nel modo più sfrontato, paventa che gli si domandi di mentire. Ho conosciuto un ubriacone che temeva, più di ogni altra cosa al mondo, che lo si facesse bere.
Molto sovente, la paura di sottomettersi alla volontà di un altro si rivela più forte di ogni altra cosa. L'uomo non comprende che una subordinazione alla volontà di un altro, alla quale darà coscientemente la sua adesione, è la sola strada che possa condurlo all'acquisizione di una volontà propria."
[...] La questione della volontà, della nostra volontà e della volontà di un altro uomo, disse, è molto più complessa di quanto non appaia a prima vista. Un uomo non ha abbastanza volontà per fare, cioè per dominare sè stesso e controllare le sue azioni, ma ha abbstanza volontà per obbedire ad un'altra persona [...]
[...] Il destino esiste, ma non per tutti. La maggior parte delle persone sono separate dal loro destino ed esse vivono soltanto sotto la legge dell'accidente. Il destino è il risultato di influenze planetarie che corrispondono ad un dato tipo di uomo. Parleremo dei tipi più tardi. Per ora, dovete comprendere questo: un uomo può avere il destino che corrisponde al suo tipo, tuttavia non l'ha praticamente mai. Ciò dipende dal fatto che il destino concerne una sola parte dell'uomo, la sua essenza.
Ricorderemo che l'uomo è costituito da due parti; essenza e personalità. L'essenza è ciò che è suo. La personalità è 'ciò che non è suo'. 'Ciò che non è suo' significa: ciò che gli è venuto dall'esterno, quello che ha appreso, quello che riflette; tutte le tracce di impressioni esteriori rimaste nella memoria e nelle sensazioni, tutte le parole e tutti i movimenti che gli sono stati insegnati, tutti i sentimenti creati dall'imitazione, tutto questo è 'ciò che non è suo', tutto questo è la personalità. [...]
L'essenza è la verità nell'uomo; la personalità è la menzogna. Ma, man mano che la personalità cresce, l'essenza si manifesta sempre più raramente, sempre più debolmente; sovente l'essenza si arresta nella sua crescita ad un'età molto tenera e non può più crescere. Accade spesso che lo sviluppo dell'essenza di un uomo adulto, anche di un uomo molto intelligente o nel senso corrente della parola, molto colto, si sia fermata come sviluppo al livello di un bambino di cinque o sei anni. Questo significa che tutto ciò che vediamo in quest'uomo, in realtà non è suo. Ciò che è suo, ciò che gli è proprio, ossia la sua essenza, si manifesta normalmente soltanto nei suoi istinti e nelle sue emozioni più semplici. In certi casi, tuttavia, l'essenza può crescere parallelamente alla personalità. Tali casi rappresentano eccezioni rarissime, specialmente nelle condizioni di vita degli uomini colti. L'essenza ha maggiori possibilità di svilupparsi in uomini che vivono a stretto contatto con la natura, in difficili condizioni, in costante lotta e pericolo. Ma come regola generale, la personalità di tali uomini è assai poco sviluppata. Essi hanno molto di ciò che è 'veramente loro', ma sono quasi del tutto sprovvisti di ciò che 'non è loro', in altri termini, mancano di educazione e di istruzione, mancano di cultura. La cultura crea la personalità; e nello stesso tempo, essa ne è anche il prodotto, il risultato. Non ci rendiamo conto che tutta la nostra vita, tutto ciò che chiamiamo civiltà, la scienza, la filosofia, l'arte, la politica, sono creazioni della personalità, cioè di tutto ciò che, 'non è suo'. L'elemento che, nell'uomo, 'non è suo', differisce molto da ciò che gli è 'proprio' per il fatto che può essere perduto, alterato o tolto, con dei mezzi artificiali. [...]


CONTINUA...

Tratto da: Frammenti di un insegnamento sconosciuto-P.D. Ouspensky (Astrolabio editore)

A cura di Fabbri Marco











mercoledì 6 giugno 2012

L'ESPANSIONE DELLA COSCIENZA


La morte della personalità
(Prima Parte)

L'aspetto mentale, vitale e fisico dell'uomo non sono di per sè negativi, ma sono incompleti o disarmonici nello stato attuale. Essi rappresentano le tappe di un evoluzione passata, non integrate nelle nuove esigenze del presente. Per esempio, le tendenze del vitale al dominio e al possesso sono legate all'esigenza animale di stabilire aggressivamente i confini territoriali per assicurarsi la sopravvivenza. Anche la paura inconscia del corpo lo fa reagire automaticamente tramite contrazioni di difesa di fronte a ogni minaccia esterna, vera o presunta che sia.
Questi istinti sono necessari, ma poichè inconsci non sono sfruttati nelle loro piene potenzialità in armonia con la volontà cosciente. La mente, per sua natura, è soggetta al meccanismo dell'analisi e della separazione. La sua funzione originale è, infatti, quella di classificare e coordinare le informazioni che provengono dai sensi esterni per gestire più convenientemente gli atti motori volontari. La volontà mentale pensa spesso di essere l'unica realtà autonoma e cosciente, ma ricordiamoci che essa non è per niente indipendente o oggettiva. Come abbiamo già detto, i nostri pensieri non sono quasi mai soltanto nostri, ma provengono da condizionamenti sociali o da altre persone che ci influenzano senza che neanche ce ne rendiamo conto. Inoltre la mente spesso obbedisce ai bisogni e desideri del vitale anzichè rispondere a una volontà più alta.
Sembrerebbe che quella che chiamiamo 'personalità' sia un insieme di parti piuttosto frammentate e contraddittorie perchè rispondenti a necessità diverse. Sono i meccanismi inconsci che ne derivano a costituire le resistenze alla pratica spirituale, che invece rappresenta un risveglio di coscienza che porta consapevolezza là dove c'è solo oscuro bisogno. Affinchè una sempre maggiore armonizzazione tra le parti possa avvenire, bisogna che la forza cosciente in esse presente si risvegli dal suo sonno e riacquisti il proprio potere. [...]
La parte mentale, quella vitale ed emotiva, possono essere mezzi attraverso cui l'essere psichico può farsi aprire la porta per emergere all'esterno, ascendere e richiamare la discesa divina. Ma avere un'idea mentale, un credo religioso, una fede emotiva è qualcosa di totalmente diverso dall'avere la luce spirituale. Solo identificandosi con questa forza si ha la percezione della verità divina.
Ciò che normalmente chiamiamo 'essere individuale' è una cosa confusa, come un insieme di personalità spesso in conflitto tra loro; mentre lo psichico progredisce ininterrottamente, gli altri movimenti sono frammentari e discontinui. Quando l'individuo 'normale' impara ad entrare in contatto con lo psichico e lo considera il suo essere reale nasce la vera individualità.
In pochissimi individui l'anima è attiva, mentre nella maggior parte è appena percettibile. Più che essere parte della sua realtà esterna e visibile, l'anima e lo spirito nell'uomo sembrano invece esistere sopra e dietro la sua natura.
L'ordinaria mente umana ha un'attività di superficie che vela il Sè reale. Ma c'è un'altra coscienza interiore dietro quella di superficie, in cui possiamo divenir consapevoli del Sè reale e di una verità della natura più ampia e più profonda, possiamo realizzare il Sè e liberare e trasformare la natura. [...]

Tratto da: Tutta la vita è Yoga (Silvia Sermidi - Red edizioni)


A cura di Fabbri Marco











venerdì 18 maggio 2012

LA NATURA DELL'ESSERE

 

NOTTE STANCA


Lo scritto che segue non si propone a tutti, fatica nel porsi in un settore, nel concedersi per un giudizio; non è pertanto dedicato agli ottimisti, agghindati di tutto punto tra i loro bei prati in fiore e quella greve quotidianità superficiale, piuttosto violenta. 
Ma non è neppure rivolto ai pessimisti, sempre preparati al peggio, calcolatori sopraffini di un futuro che non potrà mai splendere: nella perenne, inutile speranza di esser compresi.
Come descrivere dunque l'essenza di qualcosa che non matura quasi mai la crudeltà di una stasi!?
L'uomo con le sue incertezze continua così a muoversi tra arcobaleni mal scissi e il fatidico senso di onnipotenza che lo contraddistingue in ogni suo gesto.
La personalità dunque... questo eterno dilemma che coinvolge bene o male ognuno, vorrebbe darsi una rinfrescata, dipingersi tra androginie temperate; ma anche così non si va lontano...
Subiamo impietosamente l'istintualità di UN punto di vista. 
La vera natura dell'Essere può forse volgere il proprio sguardo verso i 'suoi' tanti Sè che lo rappresentano, senza perdere la capacità di percepire l'istante cosciente?
Nel frammento che segue, la provocazione viene lanciata a chi è predisposto a coglierla..


QUESTO





[...] Gringo prese la mano di MA; camminarono insieme sulla neve e tutto sembrò dissolversi: le domande, i ricordi, il dolore...
Se si fosse lasciato sfuggire la domanda, sarebbe finita.
"MA, dimmi! Tornerò laggiù?"
"E' terribile."
"Sì, è terribile... Se sei soltanto laggiù. E se tu fossi soltanto qui non ci sarebbe il mondo!"
"Rani direbbe: a cosa serve il mondo?"
MA scoppiò a ridere come una ragazzina divertita.
"Non è che 'serve': è un fatto, come Chako, la neve e il grido delle oche dietro la bruma."
"E' un 'fatto' orrendo."
"Se sei soltanto nel fatto. Ascolta, bambino... Ci sono anche i grilli nella foresta, no? E i piccioni bianchi che calano come foglie sulla riva del fiume, non ricordi? E lì, sul viale, lo studente sorrideva al di sopra della folla."
"Sì ci sono momenti come quelli..."
"Ma è sempre il momento! E' sempre così, solo che non si presta attenzione. Il mio grande paese bianco è sempre lì, dietro tutti gli istanti e tutte le vite, perfino dietro quell'uomo che stanno per impiccare - non 'dietro': dentro. E' dentro il mondo, a ogni istante. Uno se ne accorge oppure non se ne accorge. Non hai posato la mano sul tronco di quell'ippocastano? E tutto si è fermato: era lì. E' sempre lì. Tu non sogni qui - tu sogni laggiù quando dimentichi la COSA che è qui. Per meglio dire: tu hai degli incubi, bambino. Bisogna vivere l'uno nell'altro - quanto a me, sono laggiù nella foresta, e in molte altre foreste e, al tempo stesso, cammino qui, con un certo Gringo. Non ci sono due mondi, bambino: ce n'è uno solo, il mio corridoio bianco comunica con tutti i tempi e gli spazi. E' QUI istantaneamente...
Bisogna ricordarsi. Gli uomini ricordano soltanto l'incubo."
"Ma perchè l'incubo?"
"L'incubo è il non ricordarsi."
"Ma li impiccano, li torturano, è terribile! MA, io sono stato ucciso tante di quelle volte... Forse, proprio in questo istante, stanno per uccidermi ancora.. Da qualche parte."
"Se dimentichi il tuo sorriso, sì."
"E' molto belllo... Ma è terribile."
"Sì, è terribile, bambino mio... Ed è anche bello. Bisogna fare entrare il bello nell'orrendo."
"Ma perchè è stato necessario fare intervenire l'orrore? Non capisco. No, proprio non capisco."
MA rimase un poco in silenzio. Si udiva soltanto lo scricchiolare ovattato della neve sotto i loro passi. 
"E perchè l'edredone ha avuto bisogno di essere pesce, in precedenza, di essere conchiglia e una piccola alga in un raggio di sole? Il mondo, è movimento. Tu sei fra il pesce e l'edredone - un uomo fra l'oggi e il domani. Hai anche divorato dei piccoli uccelli - adesso gli uomini divorano filosofie, religioni, questo e quell'altro... Che cosa sai tu del domani?"
"Là, nel cortile, sotto il proiettore, è terribile. Forse è solo per oggi, ma è terribilmente oggi."
"Ma bisogna far spuntare il domani nell'oggi! Bisogna far spuntare il paese bianco nell'antica notte. E' questo, il 'mondo'. Se non ci fossero delle grida, farebbero spuntare solo asparagi, bambino mio!" 
"MA, tu mi prendi in giro.."
"No, non ti prendo in giro. E' quando scherzo che sono davvero seria. Ascolta..."
Si fermò fra la neve. Eretta, grande, maestosa.
"Bambino, bisogna far germogliare la nuova Terra."
"E come?"
"Non bastano alcuni istanti 'così'. Quando avrai fatto entrare il mio grande paese bianco che non muore, non solo nella tua testa e nel tuo cuore, ma nel tuo corpo che va e viene, a ogni istante, allora..."
"Allora?"
"Allora sarai interamente l'edredone e il vecchio pesce se ne andrà, così come si sono estinti altri animali, e il bello prenderà il posto dell'orrendo. Bisogna far spuntare le nuove ali! Bisogna far fiorire la bellezza nel proprio corpo e dappertutto, a ogni istante. Il mio grande paese bianco è qui, sempre qui, a ogni istante nella vecchia Terra!"
"Ma loro lo vorranno?"
"I pesci hanno forse mai voluto trasformarsi in edredoni?"
"Quando avverrà?"
"Cammina e lo saprai."
Giunsero al castello. Le ampie finestre baluginavano sotto la neve. Si sentiva in lontananza il grido delle oche. 
"Guarda", disse Lei.
Gringo si affacciò alla finestra. Tutto era silenzioso nell'ampia sala: un silenzio massiccio, come se il tempo si fosse fermato, catturato in un cristallo. C'era un essere lì, solo, vestito di bianco, chino su uno scrittoio.
Quell'essere si voltò.
Per un attimo, il suo sguardo entrò in Gringo. Un immenso sguardo dolce. A quel punto tutto si fuse: le domande, le pene, l'oggi e il domani, il qui e il là - era la COSA, pura e semplice. Un momento eterno che colma tutto. Una dolcezza che si perde nella dolcezza e affonda ai confini della dolcezza come in una neve di sempre, lontano-lontano, al termine di tutte le nevi, nella dolcezza ancora e ancora.
Gringo vi si immerse come il gabbiano nell'onda.
Si rimise in cammino nella vecchia notte per quella gioia.
Ancora e ancora... e sempre.
Come il grido delle oche dietro la bruma.


(Tratto da: Gringo - Satprem) Neftasia editore
















lunedì 20 febbraio 2012

LA NATURA DELL'ESSERE

Paradossi


Parte II

[...] Nella maggior parte dei casi l'uomo si identifica con ciò che gli altri pensano di lui, con il modo in cui lo trattano, con il loro atteggiamento nei suoi confronti. L'uomo pensa sempre che la gente non l'apprezzi abbastanza, che non sia abbastanza cortese o educata. Tutto questo lo tormenta, lo preoccupa, lo rende sospettoso; egli disperde in congetture o supposizioni una enorme quantità di energie, sviluppando in sè un atteggiamento diffidente ed ostile verso gli altri. Come lo si guarda, ciò che si pensa di lui, ciò che si dice di lui, tutto questo assume ai suoi occhi un'importanza enorme.
Ed egli 'considera' non soltanto le persone, ma la società e le condizioni storiche. Tutto ciò che non gli piace gli pare ingiusto, illegittimo, falso e illogico. E il punto di partenza del suo giudizio è sempre che le cose possono e devono essere cambiate. L' 'ingiustizia' è una di quelle parole che servono spesso a mascherare la 'considerazione'. Quando un uomo si è convinto che è un' 'ingiustizia' che lo disgusta, smettere di considerare equivarrebbe per lui a 'riconciliarsi con l'ingiustizia'. [...]
Tutto questo non è altro che 'identificazione', e se ne potrebbero citare molte altre forme. Questo genere di considerazione, si fonda interamente sulle 'esigenze'. L'uomo dentro di sè, 'esige' che tutti lo prendano per qualcuno di notevole, al quale ognuno dovrebbe testimoniare rispetto, stima e ammirazione, per la sua intelligenza, la sua bellezza, la sua abilità, il suo senso dell'umorismo, la sua presenza di spirito, la sua originalità e tutte le sue altre qualità.
Queste 'esigenze' si fondano a loro volta sulla nozione completamente fantastica che le persone hanno di sè stesse, cosa che accade spesso, anche con persone di apparenza molto modesta. In quanto agli scrittori, attori, musicisti, artisti e uomini politici, sono quasi senza eccezione degli ammalati. E di cosa soffrono? Prima di tutto, di una straordinaria opinione di sè stessi, poi di esigenze e, infine, di 'considerazione', cioè di una predisposizione ad offendersi per la più piccola mancanza di comprensione o di apprezzamento.
Vi è ancora un'altra forma di 'considerazione' che può sottrarre ad un uomo gran parte della sua energia. Essa parte dall'atteggiamento secondo il quale egli crede di non considerare abbastanza un'altra persona e che quest'ultima ne sia offesa. Egli comincia a dirsi che forse non pensa abbastanza a quest'altra persona, non le presta sufficiente attenzione e non le fa un posto abbastanza grande. Tutto ciò non è che debolezza. Gli uomini hanno puara gli uni degli altri. E ciò può condurre molto lontano. Ho visto spesso dei casi del genere. Un uomo può arrivare in tal modo a perdere il suo equilibrio, se mai ne ha avuto uno, e comportarsi in modo del tutto insensato. Si adira contro sè stesso e sente sino a che punto è stupido, ma non può fermarsi, perchè in tale situazione la soluzione sta precisamente nel 'non considerare'.
Un altro esempio, forse ancora peggiore, è quello dell'uomo che ritiene di 'dover' fare qualche cosa, mentre in realtà non deve fare assolutamente nulla. 'Dovere' e 'non dovere' è un problema difficile: è difficile comprendere quando un uomo 'deve' realmente e quando 'non deve'. Questo problema non può essere affrontato che dal punto di vista dello 'scopo'. Quando un uomo ha uno scopo, deve fare unicamente ciò che gli permette di avvicinarsi ad esso e non fare niente che da esso lo possa allontanare.
Come ho già detto, le persone immaginano spesso che se cominciano a combattere la considerazione, perderanno la loro sincerità e ne hanno paura, perchè pensano di perdere qualche cosa, una parte di sè stessi. Si verifica qui lo stesso fenomeno che avviene nei tentativi di lotta contro l'espressione delle emozioni negative. La sola differenza è che in questo caso l'uomo lotta contro l'espressione 'esteriore' delle sue emozioni e nell'altro contro la manifestazione 'interiore' di emozioni che sono forse le stesse.
Questo timore di perdere la propria sincerità è naturalmente un inganno, una di quelle formule menzognere sulle quali poggia la debolezza umana. L'uomo non può impedirsi di identificarsi e di 'considerare interiormente', non può esimersi dall'esprimere le emozioni sgradevoli, per l'unica ragione che è debole. L'identificazione, la considerazione, l'espressione delle emozioni sono manifestazioni della sua debolezza, della sua impotenza, della sua incapacità di dominarsi. Ma, non volendo confessare a sè stesso questa sua debolezza, la chiama 'sincerità' o 'onestà' e dice a se stesso che non desidera lottare contro la sua sincerità, mentre in realtà è incapace di lottare contro le sue debolezze.
La sincerità, l'onestà sono in realtà qualche cosa di differente. Ciò che in questo caso un uomo chiama 'sincerità' è semplicemente non avere voglia di controllarsi. E nel suo intimo ogni uomo lo sa bene. Quindi egli mente a sè stesso ogni volta che pretende di non voler perdere la sua sincerità. [...]


Tratto da: Frammenti di un insegnamento sconosciuto.
P.D. Ouspensky













mercoledì 8 febbraio 2012

LA NATURA DELL'ESSERE

Paradossi


Nell'apparente insolvibile Mare Magnum della nostra incoscienza, non possiamo fare a meno di notare quanto la nostra forma comunicativa sia particolarmente menomata. Una delle ragioni di questo mancato appuntamento con l'empatia è dovuto in gran parte al nostro modo separato di intenderci con tutto, all'indefessa attitudine di prendersi comunque terribilmente sul serio, nel vedere sè stessi come un plus-valore indispensabile alla vita in generale! Ma cos'è in realtà che mantiene in noi questo miraggio ingiustificato? 
Vi sarà certamente capitato di fraintendere durante un discorso tra amici, conoscenti o, semplicemente, con una persona cara.. quello che la persona voleva comunicarvi.!. Oppure quante volte voi stessi pensavate di spiegare in modo chiaro e preparato un concetto e... la persona che vi sta di fronte, non solo non ha capito il succo del discorso, ma ha proseguito la vostra congettura costruendo una sua strada, senza troppo farsi intimidire!
La parola stessa assume in questi casi un valore esagerato (sempre nella sua forma interpretativa), soggetta appunto a diversi stati influenzanti del nostro corpo; per quanto possa sembrare assurdo, una stessa locuzione può disporsi in modo alquanto imbarazzante nel contesto cognitivo, se non addirittura venir interpretata con significato opposto! Oggi prenderemo in esame una parola particolarmente equivoca e, per l'appunto, fraintendibile in più di un'occasione: il termine scelto non è preso a caso, ma costituisce un esempio ottimale su quanto un sostantivo possa subire così tante e ambivalenti significati.! 
Senza entrare troppo nello specifico del perchè questo accada, manteniamo comunque vigile la nostra attenzione sul potenziale significato di certi contesti grammaticali: ciò nonostante non dimentichiamoci che prima della grammatica viene la forma-pensiero e la sua innata collusione con le parti meno evolute del nostro Essere! Con lo scritto che segue non si vuole far altro che dimostrare quanto un termine sia collegabile ad uno stato di coscienza e che, il termine stesso, se analizzato sotto un contesto differente (più universale) assuma o possa assumere ben altri connotati! 
Buona lettura quindi..

A cura di Fabbri Marco






Parte I

[...] L'identificazione è una caratteristica talmente comune, che nell'intento di osservare se stessi, è difficile separarla da altre cose. L'uomo è sempre in stato di identificazione, ciò che cambia è solo l'oggetto della sua identificazione.
L'uomo si identifica con un piccolo problema che trova sul suo cammino e dimentica completamente i grandi scopi che si proponeva all'inizio del suo lavoro. Si identifica con un pensiero e dimentica tutti gli altri. Si indentifica con una emozione, con un umore, e dimentica gli altri suoi sentimenti più profondi. Lavorando su di sè, le persone si identificano talmente con scopi isolati da perdere di vista l'insieme. I pochi alberi più vicini finiscono per rappresentare, per loro, tutta la foresta. L'identificazione è il nostro nemico più terribile, perchè penetra ovunque e ci inganna proprio nel momento in cui crediamo di lottare contro di essa. Se ci è tanto difficile liberarci dalla identificazione, è perchè ci identifichiamo più facilmente con le cose a cui siamo maggiormente interessati. Per liberarsi dall'identificazione, l'uomo deve stare costantemente in guardia ed essere inflessibile verso sè stesso: non deve aver paura di smascherare tutte le sue forme più sottili e nascoste.
E' indispensabile vedere, studiare l'identificazione, al fine di scoprire in noi stessi le radici più profonde. Ma la difficoltà della lotta contro l'identificazione è accresciuta ulteriormente dal fatto che, quando le persone la riconoscono, la considerano una qualità eccellente e le attribuiscono nomi quali 'entusiasmo', 'zelo', 'passione', 'spontaneità', 'ispirazione', ecc. Ritengono che non si possa fare realmente un buon lavoro, in qualsiasi campo, se non in stato di identificazione. In realtà, è un'illusione. In tale stato l'uomo non può fare nulla di sensato. [...]
L'identificazione è l'ostacolo principale al ricordarsi di sè. Un uomo che si identifica è incapace di ricordarsi di sè stesso. Per potersi ricordare di sè, occorre per prima cosa non identificarsi. Ma per imparare a non identificarsi, l'uomo deve innanzi tutto non identificarsi con sè stesso,  non chiamare sè stesso 'io' sempre e in tutte le occasioni. Egli deve ricordarsi che in lui sono due, che c'è lui stesso, cioè 'Io' in lui, e un altro, con il quale deve lottare e che deve vincere se desidera raggiungere qualcosa. Fin quando un uomo si identifica o è suscettibile di identificarsi, è schiavo di tutto ciò che può accadergli. La libertà significa innanzitutto: liberarsi dall'identificazione.[...]

Fine della prima parte... Continua

Tratto da Frammenti di un insegnamento sconosciuto.. 
P.D. Ouspensky






mercoledì 25 gennaio 2012

LA NATURA DELL'ESSERE

LA TERZA FORZA



 LO SVILUPPO DELL'UOMO
Parte II 

[...] La ragione di ciò è che il sapere, quando non è in armonia con l'essere, non potrà mai essere abbastanza grande, o per meglio dire, sufficientemente qualificato per i reali bisogni dell'uomo. Sarà il sapere di una cosa legato all'ignoranza di un'altra; sarà il sapere del particolare legato all'ignoranza del tutto, il sapere della forma che ignora l'essenza. Una tale preponderanza del sapere sull'essere può essere constatata nella cultura attuale. L'idea del valore e dell'importanza del livello dell'essere è stata completamente dimenticata, Non si conprende più che il livello del sapere è determinato dal livello dell'essere. Effettivamente ad ogni livello di essere corrispondono determinate possibilità di sapere, ben definite. Nei limiti di un certo 'essere' la qualità del sapere non può essere cambiata; solo è possibile l'accumularsi di informazioni di una sola e medesima natura. Un cambiamento della natura del sapere è impossibile senza un cambiamento della natura dell'essere. [...]
[...] Esteriormente l'essere dell'uomo ha molti differenti aspetti: attività o passività; veracità o malafede; sincerità o falsità; coraggio, vigliaccheria; autocontrollo, sfrontatezza; irritabilità, egoismo, disposizione al sacrificio, orgoglio, vanità, presunzione, assiduità, pigrizia, senso morale, depravazione; tutte queste caratteristiche e molte altre compongono l'essere di un uomo.
Ma tutto questo nell'uomo è interamente meccanico. Se egli mente, questo significa che egli non può fare a meno di mentire. Se dice la verità, questo significa che non può fare a meno di dire la verità, e così è per tutto. Tutto accade; un uomo non può fare niente, nè interiormente nè esteriormente. [...]
[...]  In generale l'equilibrio dell'essere e del sapere è anche più importante di uno sviluppo separato dell'uno o dell'altro. Poichè uno sviluppo separato dell'essere o del sapere non è in alcun modo desiderabile. Benchè sia precisamente questo sviluppo  unilaterale che sembra attrarre particolarmente la gente.
Allorchè  il sapere predomina sull'essere, l'uomo sa, ma non ha il potere di fare. E' un sapere inutile. Al contrario, quando l'essere predomina sul sapere, l'uomo ha il potere di fare, ma non sa che cosa deve fare. Così l'essere che egli ha acquisito non può servirgli a nulla e tutti i suoi sforzi saranno stati inutili. Nella storia dell'umanità, troviamo numerosi esempi di intere civiltà che perirono sia perchè il loro sapere superava il loro essere, sia perchè il loro essere superava il loro sapere.
Lo sviluppo della linea del sapere senza uno sviluppo corrispondente della linea dell'essere, produce un debole Yogi, voglio dire un uomo che sa molto, ma che non può fare niente, un uomo che non comprende ciò che egli sa, un uomo che non ha possibilità di apprezzamento, voglio dire: incapace di valutare le differenze fra un genere di sapere e un altro. E lo sviluppo della linea dell'essere senza uno sviluppo corrispondente del sapere produce uno stupido santo. E' un uomo che può fare molto, ma non sa come fare, nè con che cosa; e se fa qualche cosa, agisce schiavo dei suoi sentimenti soggettivi che lo possono far sbagliare, fargli commettere gravi errori, in realtà, fargli fare il contrario di ciò che vuole. nell'uno e nell'altro caso, tanto il debole Yogi  che lo stupido santo arrivano ad un punto morto. Essi sono diventati incapaci di ogni ulteriore sviluppo.
Per afferrare questa distinzione e in generale la differenza di natura del sapere e dell'essere e la loro interdipendenza, è indispensabile comprendere il rapporto del sapere e dell'essere presi insieme, con la comprensione. Il sapere è una cosa, la comprensione è un'altra. Ma la gente confonde spesso queste due idee, oppure non vede nettamente dove sta la differenza. [...] La comprensione dipende dalla relazione tra il sapere e l'essere. La comprensione risulta dalla congiunzione del sapere e dell'essere. Di conseguenza l'essere ed il sapere non debbono divergere troppo, altrimenti la comprensione risulterebbe molto distante dall'uno e dall'altro: quindi la relazione tra il sapere e l'essere non cambia per un semplice accrescimento del sapere. Essa cambia solamente quando l'essere cresce parallelamente al sapere. In altri termini, la comprensione non cresce che in funzione dello sviluppo dell'essere. [...]
Tuttavia una persona esercitata all'osservazione di sè, sa con certezza che in differenti periodi della sua vita ha compreso una stessa idea, uno stesso pensiero, in modo totalmente diverso. Sovente le sembra strano, di aver potuto comprendere così male ciò che adesso crede di comprendere così bene. E, ciò nonostante, si rende conto che il suo sapere è rimasto lo stesso, e che oggi non sa niente più di ieri. Che cosa dunque è cambiato? E' il suo essere che è cambiato. Quando l'essere cambia anche la comprensione deve cambiare.
La differenza tra il sapere e la comprensione ci diventa chiara quando ci rendiamo conto che il sapere può essere funzione di un solo centro. La comprensione, invece, risulta dalla funzione di tre centri. Così l'apparecchio del pensiero può sapere qualcosa. Ma la comprensione appare soltanto quando un uomo ha il sentimento  e la  sensazione di tutto ciò che si ricollega al suo sapere.
Abbiamo già parlato della meccanicità. Un uomo non può dire di comprendere l'idea della meccanicità quando la sa soltanto con la testa. La deve sentire, con tutta la sua massa, con l'intero suo essere. Allora la comprenderà. [...]


Tratto da: Frammenti di un insegnamento sconosciuto - P.D. Ouspensky















martedì 10 gennaio 2012

LA NATURA DELL'ESSERE



LA TERZA FORZA

 
Parte I
Come negare che la maggioranza delle persone che si incontrano, abbiano in comune un'innata insofferenza verso lo sforzo, la disciplina, o semplicemente verso tutto ciò comporta un cambiamento delle nostre abitudini! Questa ardua sentenza - dimostra, (semmai ve ne fosse ancora bisogno) una volta ancora, tutti i limiti che la nostra biologia umana ha raggiunto.. L'inquietante e quantomeno evidente nostro modo di sopravvivere quotidiano, mostra con sempre più  disagio, la mescola di inconsistente energia che la nostra vuota esistenza è divenuta. Certo, l'ipocrisia che distingue la falsità a cui siamo oramai quasi in toto assoggettati, nasconde abbastanza efficacemente qualsiasi sforzo per notare oltre, foss'anche solo una scelta personale nel cambiare un punto di vista ideale!
Ciò che ad ogni modo non riesce a penetrare nell'habitat mentale umano, scorge la sua fallibilità proprio nell'atteggiamento dis\locato del punto di vista soggettivo..!
Oggi dunque - continuiamo a valutare la nostra triste collocazione sociale nella collettività, con un giudizio che non può che esser colpevole, proprio per il suo carattere separato dal restante che ci circonda. In definitiva è come se conoscessimo solo una parte del nostro osservato, non riuscendo così a penetrare nella vera 'comprensione' delle cose!
Per comprensione ovviamente non s'intende il ricatto mentale a cui perennemente siamo sottoposti; qui l'alcova deterministica subisce una curiosa scossa evolutiva e con lei la linearità che il nostro osservare (ambiente esterno) comporta.
La conscia cultura di questo pianeta, sembra esser arrivata alla conclusione che, proprio trattandosi di una crisi evolutiva e non di una crisi morale, si debba riunire le nostre forze al fine di concentrare il nostro potenziale in quello che sino ad oggi è stato ingiustificatamente snobbato: l'approccio al corpo e ai suoi insondati misteri!
Misteri che resteranno tali se la predominanza mentale e suoi relativi suffissi (vitali, subconsci, inconsci) non cederanno il passo ad un 'Essere' più integrato.
Un'umanità meno in conflitto tra essa può avvertire questo nuovo senso di completezza solo a patto che abbandoni l'attaccamento alla sua met\a\à più conosciuta! Un valore temuto ingiustamente sino ad oggi come immorale, cela nel suo contenuto intrinseco, cellulare, 'la porta' per un domani meno frustrante, tra nuove comprensioni che suggeriscono sempre meglio quale scelta va fatta.. senza troppi dubbi da sostenere, senza quella angosciante paura che un corpo non ascoltato vuole comunicarci!

A cura di Fabbri Marco


LO SVILUPPO DELL'UOMO

[...] Lo sviluppo dell'uomo si effettua secondo due linee, 'sapere' ed 'essere'. Ma affinchè l'evoluzione avvenga correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallele l'una all'altra e sostenersi reciprocamente. Se la linea del sapere sorpassa troppo quella dell'essere, e se la linea dell'essere sorpassa troppo quella del sapere, lo sviluppo dell'uomo non può farsi regolarmente; prima o poi deve fermarsi. "La gente afferra ciò che si intende per 'sapere'. Si riconosce che il sapere può essere più o meno vasto e di qualità più o meno buona. Ma questa comprensione non viene applicata all'essere. Per essi l'essere significa semplicemente "l'esistenza" che contrappongono alla "non esistenza". Non comprendono che l'essere può situarsi a livelli molto differenti e comportare diverse categorie. Prendete per esempio l'essere di una pianta. Sono due esseri differenti. L'essere di una pianta e quello di un animale e quello di un uomo. Ma due uomini possono differire nel loro essere più ancora di quanto un minerale e un animale differiscono tra loro. E questo è proprio ciò che le persone non comprendono. Non comprendono che il sapere dipende dall'essere. E non soltanto non lo comprendono, ma non lo vogliono comprendere. In modo particolare nella civiltà occidentale, si ammette che un uomo possa avere un vasto sapere, che per esempio egli possa essere un illustre sapiente, autore di grandi scoperte, un uomo che fa progredire la scienza, e nello stesso tempo possa essere, meschino, invidioso, vanitoso, ingenuo e distratto. Sembra normale che un professore debba dimenticare dappertutto il suo ombrello. Eppure è proprio questo il suo essere. Ma si ritiene, in occidente, che il sapere di un uomo non dipende dal suo essere. Le persone accordano un valore massimo al sapere, ma non sanno accordare all'essere un valore eguale e non si vergognano del livello inferiore del loro essere. Non si comprende neppure ciò che questo significhi. Non si comprende che il grado del sapere di un uomo è in funzione del grado del suo essere. 
"Allorchè il sapere sorpassa di troppo l'essere, esso diventa teorico, astratto, inapplicabile alla vità; può anche diventare nocivo, perchè invece di servire la vita e aiutare le persone nella lotta contro le difficoltà questo sapere comincia a complicare tutto; di conseguenza non può che apportare nuove difficoltà, nuovi turbamenti ed ogni sorta di calamità che prima non esistevano.[...]


Continua..
Tratto da: Frammenti di un insegnamento sconosciuto (P.D. Ouspesnky)